Il consumo di una dieta ricca di grassi è in grado di innescare l’obesità, con una serie di disordini metabolici che possono peggiorare il decorso di numerose malattie, compresa la Covid.

Dimagrire mangiando

I ricercatori dell’Università della California hanno identificato una molecola che sarebbe in grado di contrastare l’obesità, permettendo di dimagrire mangiando. L’esperimento è stato condotto su alcuni esemplari di topo obeso. La molecola, uno sfingolipide sintetico chiamato Sh-bc-893, è stata somministrata ai topi continuando ad alimentarli con cibi grassi. Il risultato è stato non solo che il loro peso è sceso incredibilmente, ma addirittura è aumentata la loro tolleranza al glucosio. E, fatto ancora più interessante, si è ridotto l’accumulo di grasso nel loro fegato nonostante si continuasse ad alimentarli con cibi ricchi di grassi.

Perché ingrassiamo

Com’è ben noto, nella maggior parte dei casi, si diviene obesi mangiando quantità di cibo superiori all’energia che che si consuma con il movimento. Oltre alle quantità del cibo, incide anche la  composizione: gli alimenti ricchi di grasso possono danneggiare l’organismo su vari fronti. Seppure alcuni grassi, nelle giuste quantità, sono necessari per la sopravvivenza, quando ne consumiamo quantità eccessive, nel nostro organismo si innescano processi patologici fra i quali l’aumento di peso è solo la punta di un iceberg. I meccanismi biologici che ci portano ad ingrassare sono molteplici, fra questi vi è un’eccessiva fissione dei mitocondri all’interno delle cellule. Si tratta di un processo, causato dai grassi in eccesso, che innesca una  disfunzione metabolica.

In che modo la molecola contrasta l’obesità

La scoperta, pubblicata in questi giorni su una rivista di medicina molecolare, è che lo sfingolipide sintetico è in grado di contrastare una delle disfunzioni metaboliche che causano l’obesità: l’ eccessiva fissione dei mitocondri. Difatti i ricercatori hanno osservato che i topi, ai quali veniva somministrato lo sfingolipide Sh-bc-893, iniziavano a perdere peso pur continuando a mangiare cibi grassi. Ancora non è chiaro il meccanismo completo che porta a questo incredibile risultato. L’ipotesi più ovvia è che il trattamento operi sui neuroni dell’ipotalamo che controllano il metabolismo. Per ora sappiamo che i ricercatori sono riusciti a rimodellare i mitocondri compromessi nel fegato, nel cervello e nel tessuto adiposo bianco, e a normalizzare quindi i livelli circolanti di alcuni ormoni metabolici come la leptina e l’adiponectina. Questa scoperta sensazionale merita di essere diffusa. La ricerca non si ferma, per fortuna, nonostante i tempi difficili.

Carola Pulvirenti

L’inquinamento agisce sulla nostra salute?

Difficile immaginare il collegamento diretto fra la nostra salute e quella del pianeta. Difficile modificare il nostro comportamento finché stiamo bene. Tuttavia c’è un ampia branca della medicina che si occupa di prevenzione delle malattie e il tema dell’ecologia ne è parte integrante. Quali malattie possiamo prevenire attraverso consapevolezza e responsabilità? Lo vediamo attraverso un articolo recentemente pubblicato sul Lancet, prestigiosa rivista scientifica inglese.

Le conseguenze sul cibo

Per cominciare, l’attività umana incide fortemente sul sistema di produzione del cibo. Da tempo molti ortaggi risultano poveri di minerali come ferro, zinco e proteine, la causa risiede negli alti livelli di anidride carbonica prodotta dalla nostra automobile. Ci ritroviamo così a dover assumere pasticche di integratori perché abbiamo rovinato il cibo che li conteneva.

Secondo il rapporto della Commissione Lancet su inquinamento e salute, l’inquinamento ha causato il 21% delle morti di malattie cardiache, il 23% dei decessi per ictus, l’8% dei morti per malattia polmonare cronica ostruttiva e il 25% dei decessi per cancro ai polmoni. La causa? La riduzione del consumo di nutrienti che proteggono da queste malattie. Se continueremo ad impoverire ortaggi e bestiame, non ci saranno integratori che potranno salvarci.

La scomparsa degli insetti impollinatori

Un’altra drammatica conseguenza, delle accresciute emissioni di anidride carbonica, è la scomparsa degli insetti impollinatori, protagonisti indiscussi di ogni ecosistema. La loro sparizione, infatti, accrescerebbe il numero di malattie legate alla ridotta assunzione di vitamina A, folati e gruppi di alimenti come frutta e verdure. 

Tutto questo dicasi per non menzionare le conseguenze, per la salute dell’uomo, dei crescenti livelli di ozono, della scarsità d’acqua, della riduzione dei terreni coltivabili, della minaccia alla biodiversità marina etc.

Le conseguenze sulle malattie infettive

Le temperature in aumento, le precipitazioni eccessive, le deforestazioni, potrebbero avere un impatto tragico anche sull’esposizione umana alle malattie infettive. Dati scientifici già attestano che il rischio di contrarre patologie di questo tipo aumenta in modo significativo in suddette condizioni. Si consideri ad esempio un agricoltore nelle zone montuose del Belize che applica fertilizzanti sui suoi campi. Il contadino provoca il deflusso di azoto e fosforo nei torrenti locali. Questi nutrienti sono poi trasportati centinaia di miglia a valle, verso la pianura del Belize, dove contribuiscono a innescare un cambiamento nel tipo di vegetazione. Questo cambiamento crea un habitat ideale per un tipo di zanzara in grado di trasmettere la malaria agli esseri umani. Vi viene in mente un altro esempio? Si: il Coronavirus ed altre malattie zoonotiche come l’HIV e l’Ebola. L’invasione umana, nell’habitat della fauna selvatica, aumenta il rischio di malattie come queste.

Ridurre la vulnerabilità è cruciale

La cooperazione e la condivisione dei problemi e delle relative soluzioni rappresentano, per l’umanità, l’unico futuro possibile. Oggi è impossibile pensare che una malattia, che si sta diffondendo a migliaia di chilometri da casa mia, non è un mio problema. Una popolazione martoriata dalle catastrofi naturali, rappresenta un problema per la salute globale. Pensiamo ad esempio alto rischio di contrarre e diffondere malattie infettive, come avvenuto ad Haiti con il colera. E’ evidente che proteggere le popolazioni più vulnerabili non è solo filantropia ma una necessaria tutela della salute globale.

Carola Pulvirenti

Per chi è prevista la terza dose vaccinale

“Il paese è entrato in un’altra ondata della pandemia di COVID-19, e la FDA è consapevole che le persone immunocompromesse sono particolarmente a rischio di malattie gravi. Dopo una revisione approfondita dei dati disponibili, la FDA ha determinato che questo piccolo gruppo vulnerabile può beneficiare di una terza dose dei vaccini Pfizer-BioNTech o Moderna” Lo ha recentemente affermato il commissario ad interim del ente regolatorio statunitense. Negli Stati Uniti è stato dunque autorizzato l’uso di una terza dose vaccinale negli individui immunocompromessi, come i trapiantati o coloro che seguono terapie immunosoppressive che determinano una compromissione del sistema immunitario simile a quella dei trapiantati.

Gli immunocompromessi sono più a rischio

Chi ha una grave compromissione del sistema immunitario risulta avere una ridotta capacità di combattere le infezioni e altre malattie, ed è particolarmente vulnerabile alle infezioni, compresa la COVID-19. La notizia riguarda le persone che sono immunocompromesse in modo simile a quelle che hanno subito un trapianto di organi solidi. Difatti non tutti gli individui che assumono farmaci immunosoppressori risultano  immunocompromessi. La compromissione del sistema immunitario varia in base a numerosi fattori come la tipologia, il dosaggio e la durata della terapia immunosoppressiva.

La FDA ha valutato le informazioni sull’uso di una terza dose dei vaccini Pfizer-BioNTech o Moderna, negli individui con una marcata compromissione del sistema immunitario, e ha determinato che la somministrazione di terze dosi di vaccino può aumentare la protezione in questa popolazione.

A questi pazienti occorre inoltre consigliare di mantenere le precauzioni fisiche per aiutare a prevenire la COVID-19. Inoltre, i contatti stretti di persone immunocompromesse dovrebbero essere vaccinati, se non vi sono controindicazioni specifiche, per fornire una maggiore protezione ai loro cari.

Consigliati anche gli anticorpi monoclonali

Quando una persona immunocompromessa contrae la Covid-19, l’indicazione della FDA è quella di valutare la possibilità di trattamento con anticorpi monoclonali. La FDA ha autorizzato trattamenti con anticorpi monoclonali per l’uso di emergenza per adulti e pazienti pediatrici positivi al Sars-Cov-2 e che sono ad alto rischio di progredire verso la malattia grave grave e/o l’ospedalizzazione. Gli anticorpi monoclonali sono molecole prodotte in laboratorio che agiscono come anticorpi sostitutivi. Possono aiutare il nostro sistema immunitario a riconoscere e rispondere più efficacemente al virus, rendendo più difficile per il virus riprodursi e causare danni.

Terza dose per immunocompromessi dai 12 anni in su

Il vaccino Pfizer-BioNTech è attualmente autorizzato per l’uso di emergenza in individui di età pari o superiore ai 12 anni, e il vaccino Moderna è autorizzato per l’uso di emergenza in individui di età pari o superiore ai 18 anni. Le autorizzazioni per questi vaccini sono state modificate per consentire la somministrazione di una terza dose a soggetti di età pari o superiore a 18 anni per Moderna e 12 anni per Pfizer che hanno subito un trapianto di organi solidi, o a cui sono state diagnosticate condizioni che sono considerate avere un livello equivalente di immunocompromissione. La somministrazione deve avvenire almeno 28 giorni dopo il regime a due dosi dello stesso vaccino.

Il Comitato consultivo sulle pratiche d’immunizzazione dell’organismo americano di sanità pubblica (CDC) si riunirà questo venerdì per discutere ulteriori raccomandazioni cliniche riguardanti gli individui immunocompromessi. Attendiamo nota ufficiale del ente regolatorio italiano (AIFA) che ha anticipato la notizia alcune settimane fa.

Carola Pulvirenti

Il potere antivirale degli oli essenziali

Potrebbe suonare come l’ennesima fake news, eppure recenti studi scientifici attestano che gli oli essenziali  sarebbero in grado di agire non solo contro una vasta gamma di batteri e funghi, ma anche contro patogeni virali, inclusi quelli di varie influenze e – udite udite! – dei coronavirus. Lo annuncia un articolo scientifico scritto dai ricercatori di un’università indiana e pubblicato pochi mesi.

Esperimenti su lavanda, cannella e citronella

Gli oli essenziali di cannella, bergamotto, citronella, timo, lavanda, per esempio, eserciterebbero un potentissimo effetto antivirale contro l’influenza di tipo A. Quelli di foglie di agrumi sarebbero, invece, efficaci contro il virus H5N1. O ancora, in certe concentrazioni, l’olio essenziale di Lippia indurrebbe una remissione del 100% del virus della febbre gialla. Addirittura, gli oli di timo, citronella e rosmarimo officinale destabilizzerebbero il complesso Tat/TAR-RNA del virus HIV-1, complesso fondamentale per la duplicazione dello stesso virus.

Gli oli contro le sindromi acute da SARS-CoV

Ancora più incredibile il dato che ben 221 elementi, tra i composti fitochimici e gli oli essenziali testati, avrebbero un effetto antivirale notevole contro le sindromi respiratorie acute associate al virus SARS-CoV. L’esperimento, effettuato anche sui polli, ha mostrato non solo una significativa riduzione dei sintomi e delle lesioni cliniche, ma anche della quantità di RNA virale nella trachea degli uccelli. Non solo, negli animali testati, risultati protetti per quattro giorni dal virus dopo la somministrazione degli oli, è risultata ridotta per ben due settimane persino la trasmissione dell’infezione.


Il meccanismo di azione degli oli

La tempesta di citochine (dalla rivista Nature)

Ma come funzionano queste sostanze? In che modo agiscono nel virus? Lipofili per natura, questi oli penetrano facilmente le membrane virali e così provocano la disintegrazione del capside, l’involucro proteico della particelle virali. In questo modo, essi impediscono al virus di infettare la cellula ospite come avviene di solito attraverso l’adsorbimento via capside. Non solo, gli oli sopprimono le tempeste citochiniche generate durante le infezioni da SARS-CoV-2 e quindi inibiscono l’infiammazione alveolare. É in questo modo che essi riducono i sintomi letali della malattia e la riposta infiammatoria delle cellule.

Prospettive future

 La letteratura scientifica sul tema è più vasta di quello che si possa pensare e  indica che gli oli essenziali possono considerarsi di grande beneficio contro il COVID-19. Sarebbe molto utile svolgere ulteriori ricerche sull’argomento, soprattutto visto che il mondo intero è ancora in balia di questo virus e delle sue varianti. Si tratta di una possibilità da esplorare con grandissima attenzione, e non solo per gli esiti già espressi negli esperimenti condotti. Ma perché gli stessi hanno portato alla luce il potenziale incredibile di elementi assolutamente e totalmente naturali.

BB

Persone con malattie rare, disabili e fragili intervistati dal Istituto Superiore di Sanità

Disabili e malati rari hanno grande bisogno dello sviluppo di tecnologie a loro sostegno. Tuttavia molti di essi hanno difficoltà nell’accesso a strumenti digitali e innovativi. Per programmare interventi su comunicazione e assistenza digitale, è necessario capire quali sono le reali criticità in questo ambito. Per questo il Centro Nazionale Tecnologie Innovative in Sanità Pubblica ha avviato una raccolta dati, in collaborazione con il Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità. Il contesto, in cui è stata condotta l’indagine, era quello della situazione pandemica (da settembre a novembre 2020), che ha costretto la popolazione intera all’isolamento domiciliare e al distanziamento fisico e sociale.

Capire per programmare gli interventi

Nel momento in cui si pensa di aiutare le persone disabili o con malattie rare, il primo passo è quello di dare loro ascolto. Difatti qualunque progetto di salute e assistenza, parte da un’analisi del contesto nel quale si vuole intervenire. Per questo motivo, l’Istituto Superiore di Sanità ha proposto un sondaggio elettronico alle persone con malattie rare e disabilità di vario tipo. Gli obiettivi dell’indagine erano i seguenti:

  • Verificare il concreto utilizzo delle tecnologie, ad oggi disponibili, a supporto delle persone fragili nella loro vita quotidiana.
  • Rilevare la reale accessibilità e fruibilità delle tecnologie da parte delle “persone fragili”, e dei loro caregiver, evidenziandone le carenze e le difficoltà di utilizzo.
  • Individuare e suggerire possibili soluzioni e azioni, utili a migliorare la qualità della vita nella fase post emergenziale.

Saper utilizzare la tecnologia

L’indagine ha permesso di comprendere le principali problematiche riscontrate, nell’ ambito comunicazione e digitale, dai cittadini fragili e dalle loro famiglie. Fra queste vi è senza dubbio una generale difficoltà nell’ utilizzo e/o nell’ accesso alle tecnologie specialistiche per cura o riabilitazione. I pazienti riferiscono di ricevere scarso supporto informatico da remoto, con criticità per la continuità assistenziale. Difatti è emerso che,  in molti casi, gli strumenti tecnologici, forniti in dotazione a domicilio, non sono stati facilmente fruibili o adeguati alle esigenze. E questo ha causato, in oltre la metà dei soggetti rispondenti, un aggravamento delle condizioni di salute (55%). Inoltre, solo il 23,7% dei caregiver o familiari si è avvalso di App per la vigilanza sanitaria e farmacologica.

La formazione è indispensabile

E’ emerso quindi un forte desiderio di ricevere la formazione adeguata per accedere alle tecnologie e utilizzarle in modo appropriato. Difatti solo il 9,29 % dei rispondenti al questionario ha usufruito di tecnologie di riabilitazione e/o di supporto terapeutico in remoto, e di questi il 31 % ha riscontrato problemi e difficoltà nell’utilizzo effettivo dello strumento. Eppure il 56%, di quelli che non ne hanno avuto possibilità, ha espresso un forte desiderio di poter accedere a strumenti di supporto digitale. Tali strumenti hanno infatti rappresentato un salvagente che ha tutelato i disabili durante il primo anno di emergenza sanitaria.

Quali priorità per comunicazione e assistenza digitale

Da questi dati preliminari, si evince dunque la necessità di implementare piattaforme e strumenti tecnologici innovativi, ma anche di prevedere percorsi formativi a professionisti, alle persone fragili e ai loro familiari/caregiver. E’ necessario inoltre garantire servizi di supporto informatico costante ed un monitoraggio della salute generale, incluso il benessere psicologico di tutta la famiglia. Difatti la presenza in famiglia di una persona non autosufficiente necessita di sostegno e organizzazione, necessari per evitare e diagnosticare precocemente i frequenti casi di burnout dei familiari e caregiver. Nel sondaggio citato è emersa, in modo chiaro, la volontà di pazienti e caregiver di essere coinvolti e formati sulle nuove tecnologie, che rappresentano un grande potenziale per migliorare la qualità di vita non solo della persona fragile, ma di tutta la famiglia.

Carola Pulvirenti

Cinquemila persone ad un concerto, è accaduto a Barcellona in piena pandemia. Non si trattava di una folla di imprudenti ribelli alle restrizioni, ma di un esperimento scientifico condotto la scorsa primavera.

Un mega concerto in sicurezza

Erano 5000 perone non vaccinate in ambiente chiuso per sette ore. Il 27 marzo 2021, nello stadio Palau Sant Jordi a Barcellona, un team di 74 infermieri ha eseguito un test antigenico rapido a tutti i partecipanti. Tutti indossavano maschere filtranti di secondo livello, dunque non le mascherine chirurgiche che usiamo comunemente. I filtranti FFP 2 sono in grado di filtrare almeno il 94% delle particelle trasportate dall’aria. Indossandoli era permesso cantare e ballare, e non era richiesto alcun distanziamento fisico. Tutti i partecipanti si trovavano al piano centrale dello stadio, che era al completo, e raggruppati in 3 aree delimitate; le tribune dello stadio, con una capacità di 13 000 persone, non erano occupate. La ventilazione interna è stata ottimizzata per fornire 6 cambi d’aria completi (100%) all’ora.

L’occasione per fare 5000 tamponi

Dei 5000 individui, sottoposti a screening antigenico, sei sono risultati positivi e non sono stati autorizzati a partecipare al concerto, così come 2 dei loro contatti stretti, nonostante avessero test negativi. Nelle due settimane dopo il concerto, furono riscontrati sei casi di positività, tutti con sintomi lievi. Tre di loro si trovavano nella zona anteriore destra dello stadio e 3 nella zona anteriore sinistra. Fra questi sei, solo due risultarono essersi infettati durante il concerto, gli altri quattro si erano infettati nelle settimane successive all’evento. In particolare una donna, che ha partecipato all’evento, era risultata negativa allo screening pre-evento e poi di nuovo 48 ore dopo l’evento ma, 4 giorni dopo il concerto, la diagnosi di COVID-19 è stata confermata grazie ad un test più approfondito (PCR). Pertanto, presumibilmente ha partecipato all’evento durante il periodo di incubazione.

Bastano tre requisiti

I dati, presentati dai ricercatori di Barcellona, indicano che nessun evento di trasmissione degno di nota si è verificato durante il concerto. Questo esperimento ci suggerisce quindi che tre accortezze sarebbero sufficienti per garantire un ambiente sicuro, anche al chiuso, e con moltissime persone. I tre elementi chiave per partecipare ad un concerto in sicurezza sono dunque:

  1. Filtranti facciali di secondo livello (vedi foto)
  2. Screening antigenico rapido per tutti
  3. Sei ricambi d’aria ogni ora

Tuttavia, a nostro avviso, vi è un quarto requisito fondamentale, una variabile che, in una pandemia, risulta avere un ruolo cruciale: il comportamento degli individui. Le cinquemila persone coinvolte nell’esperimento hanno infatti mantenuto la mascherina FFP2 per ben cinque ore, tempo in cui hanno anche cantato e ballato. E’ dunque evidente che, per limitare il rischio di trasmissione di una malattia infettiva, il rispetto delle regole comportamentali è requisito principale ed indispensabile.

Prudenza e speranza

Gli scienziati sostengono che il tampone nasale antigenico (Ag-RDT) può essere adatto per escludere individui a rischio di trasmissione al momento del test, ma non per identificare tutti gli individui infetti. Questi risultati devono essere letti nel contesto di un caso di studio condotto in una comunità con bassi tassi di vaccinazione e un tasso di infezione moderato. Sarebbe interessante ripetere l’esperimento fra individui sottoposti a vaccinazioneQuesti studi rappresentano un passo fondamentale per la creazione di ambienti sicuri, non solo negli eventi musicali dal vivo, ma anche in altri eventi di massa al chiuso. Da un punto di vista strettamente sanitario, organizzare eventi come questo potrebbe risultare un’ottima occasione per sottoporre a test un gran numero di persone, permettendo l’individuazione precoce di persone infette che possono trasmettere il virus.

Carola Pulvirenti

Stadio Palau Sant Jordi a Barcellona

Stadio Palau Sant Jordi a Barcellona

 

Curare la persona, non la malattia

“Uno degli effetti più pericolosi su chi soffre di malattie croniche è considerarsi esclusivamente malati e mettere in secondo piano vissuti emotivi, qualità della vita, relazioni, abitudini.” Lo afferma la Prof. Silvia Battisti, psicologa psicoterapeuta dell’IRPPI, che abbiamo intervistato sul tema. Alla Battisti sta a cuore che si realizzi il fondamentale passaggio dalla gestione della malattia alla gestione della persona. Nel piano di assistenza domiciliare, ad esempio, sono già previste una serie di prestazioni che generalmente non includono la terapia psicologica; tuttavia, afferma la Battisti, “le reazioni alla malattia sono diverse per ogni individuo. Di fronte ad una diagnosi, il paziente è costretto a rivedere l’immagine che aveva di sé stesso/a proprio alla luce dei cambiamenti che la propria patologia gli/le ha provocato.”

Le malattie croniche sono purtroppo un fenomeno in crescita. Questo dato ha, infatti, indotto l’Organizzazione Mondiale della Sanità a individuarle come ambito di intervento prioritario per la salute pubblica. La gestione delle persone con malattia cronica necessita di un modello assistenziale diverso da quello delle cosiddette malattie acute, perché prevede la presa in carico dei pazienti sul territorio e la loro assistenza per un lungo periodo.

L’approccio multi-modale

Afferma la stessa Battisti che “Lo stato psicologico di un malato cronico può influire in modo significativo sul decorso della malattia.” Nella gestione delle malattie croniche, dunque, la persona tutta va presa in carico, e sempre con un approccio multi-modale. Tutti gli aspetti della vita del paziente vanno indagati: biologici, psicologici e sociali.

Il potenziale dell’auto-cura

Cruciale è anche, in questo percorso, l’empowerment della persona malata. É fondamentale, nella malattia cronica, non solo guadagnare consapevolezza e individuare le proprie risorse interiori, ma – più praticamente – anche imparare ad utilizzare al meglio i servizi che il sistema sanitario mette a disposizione. Un paziente consapevole conosce e utilizza al meglio i servizi disponibili, è aggiornato, e capace di navigare autonomamente le informazioni. Non solo: un paziente “empowered” è coinvolto attivamente nel percorso di cura, e partecipa alla costruzione di percorsi personalizzati.

L’essenziale è invisibile agli occhi

Il principio chiave di un piano terapeutico completo è, dunque, innanzitutto, informare e sensibilizzare pazienti, familiari e operatori sanitari sull’importanza della prevenzione del disagio psicologico. Si tratta di offrire un supporto psicologico – sia ai pazienti che ai loro familiari – che sia parte integrante del percorso di cura.

Per i pazienti cronici è fondamentale imparare a riconoscere ed esprimere sentimenti ed emozioni, provocati dalla presenza della patologia”, prosegue la Battisti. E attraverso la psicoterapia è possibile alleviare la sofferenza psicologica,  gestire il disagio emotivo, favorendo così l’adattamento alle condizioni imposte dalla situazione di cronicità. “Con il supporto di un terapeuta, caregivers e familiari possono imparare a gestire il disagio e valutare le reazioni provocate dalla malattia,” spiega la dottoressa: “Mantenere o ristabilire l’equilibrio all’interno del nucleo familiare e favorire la comunicazione tra i suoi membri è un aspetto sociale dell’equilibrio salute”. Sostenere i familiari nella gestione della persona con malattia cronica è fondamentale per evitare di esaurire le energie fisiche e mentali del caregiver.

Carola Pulvirenti

Dopo la pandemia: il PNRR

L’innovazione del sistema sanitario è fra le priorità del Governo. Quando è sopraggiunta la pandemia di Covid-19, era già chiara la necessità di adattare l’attuale modello economico verso una maggiore sostenibilità ambientale e sociale. Questa circostanza, insieme alla crisi economica sopraggiunta, ha dunque spinto il Governo a formulare una risposta concreta che riguardasse anche la salute.

La missione Salute del PNRR

Si tratta del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), un programma che identifica riforme e priorità di investimento ai fini di mettere in moto la ripresa in ambiti vari, inclusa la salute. La missione “Salute” del PNRR, quella che ci interessa più da vicino, è finalizzata proprio ad allineare i servizi ai bisogni di cura dei pazienti. Un primo obiettivo della missione è quello di rafforzare le prestazioni erogate sul territorio incluse l’assistenza domiciliare, la telemedicina e l’integrazione fra i servizi socio-sanitari. Ne abbiamo parlato nel precedente articolo: “Curarsi a casa: la sanità del futuro.”

Innovazione, ricerca, digitalizzazione del SSN

Il secondo grande obiettivo della Missione Salute riguarda l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale. Il senso è sviluppare una sanità pubblica che valorizzi gli investimenti in termini di risorse umane, digitali, strutturali, strumentali e tecnologiche; rafforzare la ricerca scientifica in ambito biomedico e sanitario; potenziare e innovare la struttura tecnologica e digitale del SSN a livello Centrale e Regionale, garantendo una maggiore capacità di governance e programmazione sanitaria guidata dalla analisi dei dati.

Raccolta dati, analisi e condivisione

Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE)

Anche il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) svolgerà funzioni di grande importanza. Per esempio, esso opererà come punto di accesso per le persone e pazienti per la fruizione di servizi essenziali forniti dal SSN. Contenendo informazioni sulla storia clinica del paziente, esso funzionerà, poi, come base dati per i professionisti sanitari. E sarà utilizzato dalle ASL per effettuare analisi di dati clinici e migliorare così la prestazione dei servizi sanitari, adattandola ai bisogni di salute della popolazione afferente.

Il Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS)

Si darà vita anche al Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS) per il monitoraggio dei LEA e la programmazione di servizi di assistenza sanitaria alla popolazione che siano in linea con i bisogni, l’evoluzione della struttura demografica della popolazione, i trend e il quadro epidemiologico. Un più attento e completo monitoraggio dei bisogni sanitari può, infatti, trasformarsi in un utile strumento per la quantificazione e qualificazione dell’offerta sanitaria. Interessante, in questo senso, la creazione di una piattaforma nazionale dove domanda ed offerta di servizi di telemedicina forniti da soggetti accreditati possa incontrarsi.

Potenziamento della ricerca biomedica 

Fondamentale sarà anche il potenziamento della ricerca biomedica, con l’obiettivo di rafforzare la capacità di risposta dei centri di eccellenza presenti in Italia nel settore delle patologie rare e favorendo il trasferimento tecnologico tra ricerca e imprese. Per i programmi di ricerca e i progetti nel campo delle malattie rare e dei tumori rari sono previsti due finanziamenti del valore di 0,05 miliardi ciascuno da erogare rispettivamente entro la fine del 2023 e la fine del 2025. 

Per il perseguimento di questi obiettivi si prevedono tre tipi di intervento: innanzitutto il finanziamento di progetti Proof of Concept (PoC) volti a ridurre il gap fra i risultati della ricerca scientifica e la loro applicazione per scopi industriali. Poi, il finanziamento di programmi di ricerca nel campo delle malattie rare e dei tumori rari. E infine il finanziamento per progetti di ricerca su malattie altamente invalidanti.

Garantire l’accesso al digitale

Per promuovere l’autonomia delle persone con disabilità, è necessario migliorare i servizi di assistenza sociale, anche attraverso il rifornimento dei dispositivi per l’informazione e la comunicazione tecnologica. A tal fine, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha stanziato fondi per la digitalizzazione e per il supporto formativo allo sviluppo di competenze digitali. Lo scopo di questo investimento è provare ad abbattere le barriere che ostacolano l’accesso al mercato del lavoro.

Nel dettaglio

Per le persone costrette in casa da disabilità, il PNRR prevede non solo corsi di formazione, ma anche strumentazione tecnologica. I giovani  potranno, così, più facilmente, accedere ad opportunità lavorative in smart-working. La riforma prevede anche l’implementazione sul territorio dei punti unici di accesso per le persone con disabilità quali strumenti per la valutazione multidimensionale. L’obiettivo è quello di realizzare i principi della convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006. 800 milioni di finanziamenti arriveranno dalle risorse del nuovo fondo disabilità creato con la legge bilancio 2020.

Sostegno alle famiglie con anziani e bambini

La missione 5 del PNRR è dedicata ai temi di inclusione e coesione e prevede, fra le altre, una serie di decreti attuativi per la riforma del terzo settore. Sono previsti investimenti a sostegno dei servizi sociali, delle persone con disabilità e disagio sociale. Tra le finalità vi è quella di individuare i livelli essenziali delle prestazioni per gli anziani non autosufficienti. Prevista l’istituzione di punti unici di accesso socio-sanitario con accoglienza e valutazione multidisciplinare.

L’investimento si articola in tre obiettivi che dovranno perseguire le amministrazioni comunali:

1. Sostenere le capacità genitoriali e garantire supporto alle famiglie con bambini;

2. Promuovere l’autonomia degli anziani;

3. Rafforzare i servizi sociali a domicilio e la loro collaborazione con i servizi sanitari.

Co-housing: economia ed ecologia

300 milioni di euro verranno stanziati per il co-housing, con l’obiettivo di convertire le RSA in gruppi di appartamenti autonomi dotati delle attrezzature e dei servizi necessari. Condividere gli spazi comuni agevola la socializzazione, consente di risparmiare sui costi di gestione, e al contempo favorisce l’autonomia delle persone con disabilità. Il PNRR prevede, in un’ottica multidisciplinare, anche la digitalizzazione attraverso l’utilizzo di elementi di domotica, telemedicina e monitoraggio a distanza per aumentare l’efficacia dell’intervento. Previsti housing temporaneo e stazioni di posta per le persone senza fissa dimora. I comuni, per esempio, metteranno a disposizione appartamenti gratuiti fino a un periodo di 24 mesi; mentre le stazioni di posta offriranno accoglienza notturna limitata, servizi sanitari, ristorazione, orientamento al lavoro.

Carola Pulvirenti

Capacità di autoripararsi, riorganizzarsi, ricostruire

Una recente revisione della letteratura (Dantzer et al. 2019) mostra un importante rapporto tra una psiche più RESILIENTE e una immunità più forte. La resilienza, infatti è in altri termini la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili che fanno pensare a un esito negativo.  Essere resilienti non significa infatti solo saper opporsi alle pressioni dell’ambiente, ma implica una dinamica positiva, una capacità di andare avanti, nonostante le crisi, e permette la costruzione, anzi la ricostruzione, di un percorso di vita.

Stress; fattori di rischio e fattori protettivi

La “resilienza è la capacità di gestire le situazioni difficili e non è una caratteristica che le persone hanno o non hanno, ma può essere appresa e sviluppata da tutti.” (American Psychological Association), Fonte D.Lazzari, presidente ordine nazionale psicologi 2020. Gli individui resilienti trovano il modo di fronteggiare lo stress, individuando nelle relazioni umane e nei contesti di vita, quegli elementi di forza per superare le avversità, elementi definiti fattori di protezione. Essi sono contrapposti ai fattori di rischio, che invece diminuiscono la capacità di sopportare il dolore. Tra i fattori di rischio, che espongono a una maggiore vulnerabilità agli eventi stressanti, diminuendo la resilienza, secondo Werner e Smith (1982) troviamo i fattori emozionali, i fattori interpersonali, e i fattori familiari e di sviluppo. Esplorando i fattori protettivi, è possibile individuare cinque componenti che contribuiscono a sviluppare la resilienza (Cantoni, 2014).

I cinque passi verso la resilienza

Approccio positivo alla vita: non un generico ottimismo, ma quella disposizione a cogliere anche il lato buono delle cose, che promuove il benessere individuale e preserva dal disagio e dalla sofferenza fisica e psicologica. Questo modo di affrontare le situazioni di vita tende a mantenere più lucidità per trovare soluzioni ai problemi (Seligman, 1996).

Autostima. Un altro importante aspetto è l’autostima. Avere una bassa considerazione di sé ed essere molto autocritici, infatti, conduce a una minore tolleranza delle critiche altrui, cui si associa una quota maggiore di dolore e amarezza, aumentando la possibilità di sviluppare sintomi depressivi.

Forza. Il terzo aspetto è la Robustezza psicologica (Hardiness), la proattività, l’energia personale, a sua volta scomponibile in tre sotto-componenti, il controllo (la convinzione di essere in grado di controllare l’ambiente circostante, mobilitando quelle risorse utili per affrontare le situazioni), l’impegno (con la chiara definizione di obiettivi significativi che facilita una visione positiva di ciò che si affronta) e la sfida, che include la visione dei          cambiamenti come incentivi e opportunità di crescita piuttosto che come minaccia alle proprie sicurezze.

Emozioni positive. Il quarto aspetto sono le emozioni positive, ovvero il focalizzarsi su quello che si possiede invece che su ciò che ci manca.

Supporto sociale. Un’altra componente cruciale della resilienza è il supporto sociale, definito come l’informazione, proveniente da altri, di essere oggetto di amore e di cure, di essere stimati e apprezzati. E’ importante sottolineare come la presenza di persone disponibili all’ascolto sia efficace poiché mobilita la narrazione dei propri accadimenti. Raccontare non è solo sfogarsi ma è ricostruire insieme ad un altro quel periodo della propria storia, arrivando ad una condivisione partecipata dell’accaduto.

Dott.ssa Silvia Battisti

Psicologa Psicoterapeuta

Istituto Romano di Psicoterapia Psicodinamica Integrata