Non solo numeri

La domanda di informazione statistica sui numerosi temi legati alla disabilità ha subito, negli ultimi anni, un radicale cambiamento. Oggi la ricerca sta diventando sempre più sofisticata, infatti si raccolgono dati sull’accessibilità degli ambienti, sull’informazione e le tecnologie a disposizione dei disabili, sull’accesso ai servizi sanitari e socio-assistenziali e via dicendo. Il dibattito che si è animato a livello internazionale ha, insomma, determinato un profondo rinnovamento prima negli strumenti di misurazione statistica della disabilità e di conseguenza, anche se non in modo risolutivo, nella percezione della stessa.

Il nuovo paradigma è stato formalizzato nella nuova classificazione internazionale della salute e della disabilità, l’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF). In seguito anche una Convenzione Onu, ratificata anche dal nostro Paese, ha recepito tale rinnovamento, ed ha identificato i diritti soggettivi delle persone con disabilità e fornito indicazioni per interventi finalizzati al perfezionamento degli stessi.

Fotografia della situazione italiana

L’Istituto Nazionale di Statistica ha investito negli anni molte risorse sul tema della disabilità. Lo si apprende chiaramente dal resoconto dell’ultima  audizione del Presidente dell’Istituto, Gian Carlo Blangiardo. “La letteratura scientifica – scrive Blangiardo – ha mostrato che gli elementi di fragilità, che possono limitare lo sviluppo degli individui e il progresso sociale, sono molteplici e dipendono in larga misura dalla società e dal contesto in cui sono collocati.”

Nel nostro Paese, nel 2019, le persone con disabilità erano 3 milioni e 150 mila. Non solo: si stima che il 30,3% degli anziani abbia gravi difficoltà a svolgere le più semplici attività domestiche. Questo per non parlare delle attività che implicano una certa autonomia fisica, per esempio fare la spesa e spostarsi liberamente.

 

Le malattie invisibili

La gran parte della letteratura sul tema, però, si focalizza perlopiù sulle storie di coloro che presentano disabilità più manifeste, lasciando da parte tutto il resto della comunità. Viene da chiedersi, allora, quale spazio occupi, in questa vicenda, chi soffre delle cosiddette malattie invisibili. Soffrire di una malattia invisibile può significare dover continuamente spiegare al mondo i propri limiti non sempre visibili. Soffrire di una malattia invisibile significa dover combattere strenuamente per i propri diritti contro chi li nega altrettanto strenuamente e semplicemente perché non li vede.

 

Che fare?

Purtroppo i fatti parlano di un mondo che ancora non lascia al malato invisibile lo spazio adeguato e il giusto tempo. Anche la malattia invisibile ha forme visibilissime, se scoperte nei giorni in cui costringono, per esempio, a letto chi ne soffre. E poi, visibile/invisibile a chi? Questi concetti sono molto più problematici delle parole che li definiscono e, potremmo dire, dipendono non solo da cosa si vede, ma anche da come si guarda. C’è molta strada da percorrere ed è necessario chiedersi ora, subito, cosa fare per il presente e per il futuro. Sarebbe bellissimo se cominciasse tutto dalla scuola.

Carola Pulvirenti

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