Curare la persona, non la malattia

“Uno degli effetti più pericolosi su chi soffre di malattie croniche è considerarsi esclusivamente malati e mettere in secondo piano vissuti emotivi, qualità della vita, relazioni, abitudini.” Lo afferma la Prof. Silvia Battisti, psicologa psicoterapeuta dell’IRPPI, che abbiamo intervistato sul tema. Alla Battisti sta a cuore che si realizzi il fondamentale passaggio dalla gestione della malattia alla gestione della persona. Nel piano di assistenza domiciliare, ad esempio, sono già previste una serie di prestazioni che generalmente non includono la terapia psicologica; tuttavia, afferma la Battisti, “le reazioni alla malattia sono diverse per ogni individuo. Di fronte ad una diagnosi, il paziente è costretto a rivedere l’immagine che aveva di sé stesso/a proprio alla luce dei cambiamenti che la propria patologia gli/le ha provocato.”

Le malattie croniche sono purtroppo un fenomeno in crescita. Questo dato ha, infatti, indotto l’Organizzazione Mondiale della Sanità a individuarle come ambito di intervento prioritario per la salute pubblica. La gestione delle persone con malattia cronica necessita di un modello assistenziale diverso da quello delle cosiddette malattie acute, perché prevede la presa in carico dei pazienti sul territorio e la loro assistenza per un lungo periodo.

L’approccio multi-modale

Afferma la stessa Battisti che “Lo stato psicologico di un malato cronico può influire in modo significativo sul decorso della malattia.” Nella gestione delle malattie croniche, dunque, la persona tutta va presa in carico, e sempre con un approccio multi-modale. Tutti gli aspetti della vita del paziente vanno indagati: biologici, psicologici e sociali.

Il potenziale dell’auto-cura

Cruciale è anche, in questo percorso, l’empowerment della persona malata. É fondamentale, nella malattia cronica, non solo guadagnare consapevolezza e individuare le proprie risorse interiori, ma – più praticamente – anche imparare ad utilizzare al meglio i servizi che il sistema sanitario mette a disposizione. Un paziente consapevole conosce e utilizza al meglio i servizi disponibili, è aggiornato, e capace di navigare autonomamente le informazioni. Non solo: un paziente “empowered” è coinvolto attivamente nel percorso di cura, e partecipa alla costruzione di percorsi personalizzati.

L’essenziale è invisibile agli occhi

Il principio chiave di un piano terapeutico completo è, dunque, innanzitutto, informare e sensibilizzare pazienti, familiari e operatori sanitari sull’importanza della prevenzione del disagio psicologico. Si tratta di offrire un supporto psicologico – sia ai pazienti che ai loro familiari – che sia parte integrante del percorso di cura.

Per i pazienti cronici è fondamentale imparare a riconoscere ed esprimere sentimenti ed emozioni, provocati dalla presenza della patologia”, prosegue la Battisti. E attraverso la psicoterapia è possibile alleviare la sofferenza psicologica,  gestire il disagio emotivo, favorendo così l’adattamento alle condizioni imposte dalla situazione di cronicità. “Con il supporto di un terapeuta, caregivers e familiari possono imparare a gestire il disagio e valutare le reazioni provocate dalla malattia,” spiega la dottoressa: “Mantenere o ristabilire l’equilibrio all’interno del nucleo familiare e favorire la comunicazione tra i suoi membri è un aspetto sociale dell’equilibrio salute”. Sostenere i familiari nella gestione della persona con malattia cronica è fondamentale per evitare di esaurire le energie fisiche e mentali del caregiver.

Carola Pulvirenti

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