La mascherina chirurgica è il simbolo indiscusso dell’anno 2020, per gli operatori sanitari però il protagonista di questa pandemia è il casco, presidio che la Società Italiana di Pneumologia ha identificato come scelta terapeutica ideale, da posizionare alla maggior parte dei pazienti con grave sindrome respiratoria da Covid-19.
La principale manifestazione clinica dei pazienti COVID-19 è rappresentata da un’ipossia acuta, insufficienza respiratoria che in molti casi richiede un supporto ventilatorio invasivo, come l’intubazione endotracheale.
Gli studi di biologia molecolare hanno evidenziato che il virus COVID-2019, per entrare nelle cellule, usa un recettore maggiormente espresso sulle cellule epiteliali delle vie aeree. L’esame istologico su tessuto polmonare mostra un danno alveolare diffuso: all’interno degli alveoli si identificano delle aree di sofferenza cellulare provocata dal virus. Nei casi più gravi la respirazione diventa impossibile e i sanitari intervengono per gestire questa Insufficienza Respiratoria Acuta. In questi casi viene raccomandato il supporto respiratorio precoce con Ventilazione Non Invasiva (NIV).
La NIV è un sistema ventilatorio di natura meccanica a pressione positiva che si sostituisce all’utente nelle varie fasi degli atti respiratori; può essere nasale, facciale, total-face o a casco, a seconda delle esigenze e della tollerabilità. Rispetto alle maschere facciali, il casco permette una minore dispersione delle goccioline nell’aria, riducendo il rischio di contaminazione degli operatori sanitari, inoltre si è mostrato maggiormente efficace e confortevole per il paziente.
Il casco, chiamato anche scafandro, è un cappuccio trasparente con collare morbido alla base e due cinghie che si posizionano sotto le ascelle del paziente, permettendo al dispositivo di rimanere attaccato alle spalle e creare la dovuta pressione di ossigeno. Da un tubo entra l’ossigeno ad alto flusso, dall’altro esce l’anidride carbonica. Si tratta di un sistema a Pressione Positiva Continua delle vie Aeree (C-PAP) https://www.mdpi.com/2077-0383/9/4/1191 che permette di recuperare gli alveoli malati e migliorare la quantità di ossigeno nell’organismo.
Quello descritto è l’aspetto puramente meccanico della C-PAP ma, nell’utilizzo di questa terapia, occorre valutare in maniera preliminare moltissimi aspetti di natura fisiopatologica e monitorarli costantemente: la frazione di ossigeno inspirata dal paziente, la pressione dell’anidride carbonica, il pH ematico del paziente, la frequenza respiratoria, il sistema sensorio. Per questo motivo è necessaria la presenza di personale medico e infermieristico addestrato e fortemente motivato, in grado di interpretare i dati rilevati dal monitoraggio e lavorare su turni di 24 ore.
Il monitoraggio è fondamentale perchè nella Covid-19, come in molte polmoniti interstiziali, i pazienti inizialmente stabili possono peggiorare improvvisamente a causa dell’ipossiemia refrattaria, l’aumento del numero degli atti respiratori e la febbre alta. L’ipossiemia refrattaria è la condizione in cui l’ossigeno scarseggia nel sangue perchè i polmoni non riescono ad assorbirlo. E’ causata dal riempimento dello spazio tra gli alveoli in seguito all’infiammazione provocata dal virus.
Bellissima descrizione.
Potrebbe essere utile lanciare una domanda ai pazienti COVID-19 che hanno fatto NIV per condividere il loro vissuto?
Grazie Delia! La proposta è molto interessante, potrei somministrare un’intervista narrativa ad una persona che ha vissuto la NIV, oppure somministrare un questionario a più persone. Ci penso..