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I virus vengono utilizzati per trasportare i geni a destinazione

Con l’avvento della pandemia, abbiamo conosciuto le terribili conseguenze sull’uomo di molecole microscopiche e invisibili, come i virus. Tuttavia gli scienziati studiano da decenni queste molecole e sono riusciti ad utilizzarne alcune a scopo terapeutico. Nel caso della terapia genica, i virus vengono sfruttati per trasportare i geni a destinazione. La terapia genica è una terapia innovativa che offre buone prospettive di cura per le malattie genetiche e rare. Tuttavia, essendo una terapia altamente specifica, non è sempre facile farla arrivare all’organo per cui è stata creata, gli ostacoli sono le barriere che l’organismo usa per proteggersi. I ricercatori hanno quindi imparato a sfruttare la capacità di alcuni virus nel superare queste barriere. Si tratta naturalmente di virus non patogeni, che non interferiscono con il genoma dell’ospite umano.

Il ruolo dei virus nella terapia genica

Qual è dunque il ruolo dei virus, e delle proteine da essi derivate, nell’ambito della terapia genica? La terapia genica prevede la creazione in laboratorio di materiale genetico, questo materiale contiene le “istruzioni” per la riparazione dei difetti genetici. Il materiale genetico, creato in laboratorio, deve essere immesso nell’organismo ed arrivare esattamente nel punto migliore in cui può agire. Tuttavia, nel suo percorso all’interno dell’uomo, incontra numerosi ostacoli, pertanto lo scienziato deve predisporre le condizioni migliori per superare tali ostacoli. Attualmente, per le malattie che coinvolgono il sistema nervoso centrale, gli adeno-virus sono i veicoli più efficienti e sicuri per la consegna della terapia direttamente a destinazione, ovvero ai neuroni.

Una speranza per alcune malattie rare

La terapia genica rappresenta un’opportunità di cura anche per alcune malattie rare, che oggi non hanno ancora una risposta terapeutica adeguata. E’ il caso della Sindrome di Lafora, una rara malattia neurodegenerativa dovuta a un difetto nel metabolismo del glicogeno. Questa sostanza si deposita sui neuroni provocando infiammazione e degenerazione, con attacchi epilettici. La Sindrome di Lafora è causata dalla mutazione di due geni che quindi non svolgono il loro ruolo e possono essere sostituiti da geni creati in laboratorio. Proprio su questo tema, ci sono entusiasmanti novità pubblicate su prestigiose riviste scientifiche: si parla di terapie innovative basate sulla sostituzione dei geni mancanti, e l’introduzione di enzimi che possono digerire i cosiddetti ‘corpi di Lafora’.

Terapia genica nella malattia di Lafora

Uno studio pubblicato a maggio 2021 spiega che, nella Sindrome di Lafora, il DNA complementare può essere inserito nelle cellule nervose per sostituire le proteine dei geni difettosi. Il DNA complementare contiene le istruzioni per la costruzione dei nuovi geni, che sostituiranno quelli difettosi. In queste terapie, la ‘consegna’ del DNA può avvenire con diversi metodi, tra cui virus, parti di esso o nanoparticelle e, per la Malattia di Lafora, viene utilizzato un adenovirus. Nonostante i molti vantaggi, ci sono però due ostacoli principali nel trattamento dei disturbi del sistema nervoso centrale, con terapia genica, attraverso l’uso degli adenovirus. Il primo è la barriera emato-encefalica, che limita il numero di particelle virali che arrivano alle cellule nervose, il secondo è il trasferimento del DNA a queste cellule.

Come arrivare al risultato

In che modo  sarà quindi possibile ottenere una cura? Gli scienziati hanno già individuato alcuni modi per aggirare la barriera emato-encefalica, uno di essi è quello di iniettare il virus direttamente nel liquido cerebrospinale e questa opzione è in fase di studio. Il secondo grande ostacolo è il trasferimento del DNA alle cellule nervose (trasduzione). Nella Malattia di Lafora praticamente ogni cellula del cervello è malata, quindi è necessario trasferire il DNA a tutte le cellule del sistema nervoso. Si stanno quindi progettando nuovi involucri per gli adenovirus, si chiamano capsidi e gli permettano di attraversare la barriera emato-encefalica. Oltre all’ingegneria del capside, sono in fase di studio nuove tecnologie per manipolare la barriera emato-encefalica, come gli ultrasuoni focalizzati, e i risultati preclinici sono promettenti. Una volta identificata una strategia adatta, l’intervento precoce sarà sempre cruciale per arrestare la neurodegenerazione e prevenire il danno esteso e irreversibile. E’ questo oggi l’obiettivo delle terapie per la Sindrome di Lafora: contenere i danni con farmaci e terapia nutrizionale chetogenica, in attesa della terapia genica.

Carola Pulvirenti

Bibliografia:

Cliccando qui trovi l’articolo scientifico Lafora disease: Current biology and therapeutic approaches  pubblicato il 16 giugno 2021 sulla rivista Elsevier.

La Malattia di Lafora si manifesta durante l’adolescenza

La musica è la mia vita

Flavia Celano, cantautrice, 25 anni.

  “La musica è la mia vita“ dice Flavia, studentessa al secondo anno al Saint Louis College of Music di Roma, dove vive. Tiene gli occhi socchiusi, teme la luce, ma ogni tanto ugualmente li spalanca, quando esprime il suo entusiasmo per l’arte e la vita. Flavia è nata con una degenerazione maculare congenita e la sua fortissima motivazione per la musica deriva anche dalla famiglia: anche suo papà ha una passione per il canto e i suoi nonni hanno cantato a livello amatoriale. La sua vita è stata accompagnata dalla musica sin da bambina: da molto presto si è costruita il proprio percorso, canta da quando aveva tre anni e studia musica da undici. Ha iniziato con il pianoforte, che le ha dato un’ottima base tecnica, poi però ha scoperto l’ukulele, ed è stato amore, non se ne separa mai. Con l’ukulele si è presentata ad Xfactor, quando aveva sedici anni, superando la prima prova.

Luci e ombre di una malattia rara: la Degenerazione maculare congenita

La vista di Flavia Celano è annebbiata, fatta di immagini deformate, con lampi luminosi e zone oscure. La degenerazione maculare è una malattia rara in età pediatrica, la parte interessata è la macula, ovvero la porzione centrale della retina, un tessuto che riveste quasi tutta la parete interna dell’occhio e permette la vista in particolare in condizioni di luce soffusa. Il rischio di degenerazione maculare è più frequente col progredire degli anni, ma purtroppo può presentarsi anche in età molto giovane. Flavia Celano ne è affetta dalla nascita, si tratta di una disabilità non indifferente che, probabilmente, l’ha portata a sviluppare talento e sensibilità, facendo convergere le sue energie nell’arte, ed in particolare nella scrittura di testi e musica. La sua malattia sembra, per fortuna, stabile e oggi lei ci convive con grande coraggio e prova a rileggerla anche attraverso la musica.

La cecità degli altri

Sin da bambina Flavia ha dovuto fare i conti con il profondo disagio, provocato dalla malattia, ma anche con la “cecità” dei compagni di scuola, che vedevano in lei una persona diversa, da deridere ed isolare. Difatti l’artista ci ha raccontato di aver subito atti di bullismo che l’hanno portata ad isolarsi per anni. Molte persone non vedono affatto la sofferenza provocata dalle malattie rare, vedono solo una diversità che dà fastidio. Nel mondo dell’arte invece la diversità è un privilegio, forse per questo Flavia vi si è sentita accolta e capita ed ha iniziato la sua rinascita e oggi fa quello che ama, e canta con l’ anima. Non canta soltanto, ma scrive musica e testi delle sue canzoni, perché ritiene la scrittura, insieme al canto, fondamentale per la propria espressione. “Scrivo perché vivo,” – afferma sul suo sito, – “scrivo perché è come congelare un’esperienza che non vuoi abbandonare. E canto per condividere il mio sentire più profondo con chiunque voglia accoglierlo“. Il suo brano “Versi di fiato“, nato durante il lockdown, è ora disponibile su Spotify. Grazie, Flavia, per ricordarci che il passo verso i territori dell’OLTRE può riservare sorprese straordinarie e che il salto in quei luoghi promette immensa luce. 

Proprio oggi, 30 ottobre, alle ore 18.50, Flavia parteciperà a L’Eredità, la nota trasmissione di Rai 1. Collegati ora!

Cerca Flavia su Facebook e Instagram: Instagram @flaviacelano_1

Persone con malattie rare, disabili e fragili intervistati dal Istituto Superiore di Sanità

Disabili e malati rari hanno grande bisogno dello sviluppo di tecnologie a loro sostegno. Tuttavia molti di essi hanno difficoltà nell’accesso a strumenti digitali e innovativi. Per programmare interventi su comunicazione e assistenza digitale, è necessario capire quali sono le reali criticità in questo ambito. Per questo il Centro Nazionale Tecnologie Innovative in Sanità Pubblica ha avviato una raccolta dati, in collaborazione con il Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità. Il contesto, in cui è stata condotta l’indagine, era quello della situazione pandemica (da settembre a novembre 2020), che ha costretto la popolazione intera all’isolamento domiciliare e al distanziamento fisico e sociale.

Capire per programmare gli interventi

Nel momento in cui si pensa di aiutare le persone disabili o con malattie rare, il primo passo è quello di dare loro ascolto. Difatti qualunque progetto di salute e assistenza, parte da un’analisi del contesto nel quale si vuole intervenire. Per questo motivo, l’Istituto Superiore di Sanità ha proposto un sondaggio elettronico alle persone con malattie rare e disabilità di vario tipo. Gli obiettivi dell’indagine erano i seguenti:

  • Verificare il concreto utilizzo delle tecnologie, ad oggi disponibili, a supporto delle persone fragili nella loro vita quotidiana.
  • Rilevare la reale accessibilità e fruibilità delle tecnologie da parte delle “persone fragili”, e dei loro caregiver, evidenziandone le carenze e le difficoltà di utilizzo.
  • Individuare e suggerire possibili soluzioni e azioni, utili a migliorare la qualità della vita nella fase post emergenziale.

Saper utilizzare la tecnologia

L’indagine ha permesso di comprendere le principali problematiche riscontrate, nell’ ambito comunicazione e digitale, dai cittadini fragili e dalle loro famiglie. Fra queste vi è senza dubbio una generale difficoltà nell’ utilizzo e/o nell’ accesso alle tecnologie specialistiche per cura o riabilitazione. I pazienti riferiscono di ricevere scarso supporto informatico da remoto, con criticità per la continuità assistenziale. Difatti è emerso che,  in molti casi, gli strumenti tecnologici, forniti in dotazione a domicilio, non sono stati facilmente fruibili o adeguati alle esigenze. E questo ha causato, in oltre la metà dei soggetti rispondenti, un aggravamento delle condizioni di salute (55%). Inoltre, solo il 23,7% dei caregiver o familiari si è avvalso di App per la vigilanza sanitaria e farmacologica.

La formazione è indispensabile

E’ emerso quindi un forte desiderio di ricevere la formazione adeguata per accedere alle tecnologie e utilizzarle in modo appropriato. Difatti solo il 9,29 % dei rispondenti al questionario ha usufruito di tecnologie di riabilitazione e/o di supporto terapeutico in remoto, e di questi il 31 % ha riscontrato problemi e difficoltà nell’utilizzo effettivo dello strumento. Eppure il 56%, di quelli che non ne hanno avuto possibilità, ha espresso un forte desiderio di poter accedere a strumenti di supporto digitale. Tali strumenti hanno infatti rappresentato un salvagente che ha tutelato i disabili durante il primo anno di emergenza sanitaria.

Quali priorità per comunicazione e assistenza digitale

Da questi dati preliminari, si evince dunque la necessità di implementare piattaforme e strumenti tecnologici innovativi, ma anche di prevedere percorsi formativi a professionisti, alle persone fragili e ai loro familiari/caregiver. E’ necessario inoltre garantire servizi di supporto informatico costante ed un monitoraggio della salute generale, incluso il benessere psicologico di tutta la famiglia. Difatti la presenza in famiglia di una persona non autosufficiente necessita di sostegno e organizzazione, necessari per evitare e diagnosticare precocemente i frequenti casi di burnout dei familiari e caregiver. Nel sondaggio citato è emersa, in modo chiaro, la volontà di pazienti e caregiver di essere coinvolti e formati sulle nuove tecnologie, che rappresentano un grande potenziale per migliorare la qualità di vita non solo della persona fragile, ma di tutta la famiglia.

Carola Pulvirenti

Dopo la pandemia: il PNRR

L’innovazione del sistema sanitario è fra le priorità del Governo. Quando è sopraggiunta la pandemia di Covid-19, era già chiara la necessità di adattare l’attuale modello economico verso una maggiore sostenibilità ambientale e sociale. Questa circostanza, insieme alla crisi economica sopraggiunta, ha dunque spinto il Governo a formulare una risposta concreta che riguardasse anche la salute.

La missione Salute del PNRR

Si tratta del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), un programma che identifica riforme e priorità di investimento ai fini di mettere in moto la ripresa in ambiti vari, inclusa la salute. La missione “Salute” del PNRR, quella che ci interessa più da vicino, è finalizzata proprio ad allineare i servizi ai bisogni di cura dei pazienti. Un primo obiettivo della missione è quello di rafforzare le prestazioni erogate sul territorio incluse l’assistenza domiciliare, la telemedicina e l’integrazione fra i servizi socio-sanitari. Ne abbiamo parlato nel precedente articolo: “Curarsi a casa: la sanità del futuro.”

Innovazione, ricerca, digitalizzazione del SSN

Il secondo grande obiettivo della Missione Salute riguarda l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale. Il senso è sviluppare una sanità pubblica che valorizzi gli investimenti in termini di risorse umane, digitali, strutturali, strumentali e tecnologiche; rafforzare la ricerca scientifica in ambito biomedico e sanitario; potenziare e innovare la struttura tecnologica e digitale del SSN a livello Centrale e Regionale, garantendo una maggiore capacità di governance e programmazione sanitaria guidata dalla analisi dei dati.

Raccolta dati, analisi e condivisione

Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE)

Anche il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) svolgerà funzioni di grande importanza. Per esempio, esso opererà come punto di accesso per le persone e pazienti per la fruizione di servizi essenziali forniti dal SSN. Contenendo informazioni sulla storia clinica del paziente, esso funzionerà, poi, come base dati per i professionisti sanitari. E sarà utilizzato dalle ASL per effettuare analisi di dati clinici e migliorare così la prestazione dei servizi sanitari, adattandola ai bisogni di salute della popolazione afferente.

Il Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS)

Si darà vita anche al Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS) per il monitoraggio dei LEA e la programmazione di servizi di assistenza sanitaria alla popolazione che siano in linea con i bisogni, l’evoluzione della struttura demografica della popolazione, i trend e il quadro epidemiologico. Un più attento e completo monitoraggio dei bisogni sanitari può, infatti, trasformarsi in un utile strumento per la quantificazione e qualificazione dell’offerta sanitaria. Interessante, in questo senso, la creazione di una piattaforma nazionale dove domanda ed offerta di servizi di telemedicina forniti da soggetti accreditati possa incontrarsi.

Potenziamento della ricerca biomedica 

Fondamentale sarà anche il potenziamento della ricerca biomedica, con l’obiettivo di rafforzare la capacità di risposta dei centri di eccellenza presenti in Italia nel settore delle patologie rare e favorendo il trasferimento tecnologico tra ricerca e imprese. Per i programmi di ricerca e i progetti nel campo delle malattie rare e dei tumori rari sono previsti due finanziamenti del valore di 0,05 miliardi ciascuno da erogare rispettivamente entro la fine del 2023 e la fine del 2025. 

Per il perseguimento di questi obiettivi si prevedono tre tipi di intervento: innanzitutto il finanziamento di progetti Proof of Concept (PoC) volti a ridurre il gap fra i risultati della ricerca scientifica e la loro applicazione per scopi industriali. Poi, il finanziamento di programmi di ricerca nel campo delle malattie rare e dei tumori rari. E infine il finanziamento per progetti di ricerca su malattie altamente invalidanti.

Festa della mamma

Vogliamo celebrare la festa della mamma raccontando una storia vera, per l’esattezza un Case Report pubblicato alcuni anni fa. Il caso di una giovane mamma che ha accettato di rischiare la propria vita per mettere al mondo la creatura che portava in grembo. Tutte le mamme corrono dei rischi, la differenza sta però nel fatto che questa donna di ventisei anni sapeva di essere affetta da una rara malattia genetica, la malattia di von Willebrand (VWD). Si tratta di una coagulopatia ereditaria che può ridurre la quantità o la funzione del fattore di von Willebrand (VWF), proteina plasmatica fondamentale per la coagulazione del sangue, e provocare anche emorragie fatali.

La preoccupazione dei medici

Piastrine nel sangue

Fu proprio in virtù di questa patologia che si decise di far seguire la donna, durante la gravidanza, a un team multidisciplinare di ostetriche, ematologi e anestesisti. Non solo, in accordo con lei, i medici disposero meticolosi piani di cura per tutte le fasi gestazionali, incluso il post-partum.  La mamma fu sottoposta a controlli periodici e a continue verifiche dei livelli delle piastrine, proteine necessarie a evitare emorragie, sia interne che esterne all’organismo. 

La malattia non si ferma, la mamma neppure

Durante la gravidanza, quando i medici rilevarono una riduzione progressiva e inesorabile delle piastrine, decisero di indurle il travaglio in anticipo. L’obiettivo era proprio evitare un ulteriore peggioramento della trombocitopenia. Così, all’inizio del travaglio, vennero richieste quattro unità di piastrine.

Nonostante quanto si era predisposto, la paziente entrò poi in travaglio spontaneo. Le vennero subito trasfuse due unità di piastrine e la donna partorì un maschio sano di tre chili con un punteggio di Apgar di 9. La perdita di sangue al momento del parto risultò nella norma.

La diagnosi di una malattia rara

La rarità di queste patologie le rende molto difficili da gestire, anche perché spesso mancano le competenze per effettuare diagnosi corrette e tempestive. Ci auguriamo che questo raro caso possa fornire qualche indicazione in più sia ad ostetriche ed ematologi. I medici che hanno assistito questa donna raccomandano di includere la ricerca del fattore di von Willebrand negli esami da suggerire alle donne gravide che presentino trombocitopenia per la prima volta. Del resto, è opinione di molti medici che se la malattia di Von Willbrand di tipo piastrinico fosse sufficientemente investigata, sarebbe molto più comune di quanto lo è oggigiorno.

La mamma è uno sguardo d’amore e una carezza che cura. Da grandi impariamo a farne a meno ma, a qualunque età, ogni tanto un pensiero vola alla persona che ci ha dato la vita.”

Carola Pulvirenti

Primo incontro promosso dall’associazione pazienti ANPPI 2021

Si è tenuto il 29 gennaio scorso il primo incontro 2021 dell’Associazione Nazionale Pemfigo Pemfigoide in collaborazione con LISCLEA, Associazione delle persone con Lichen Scleroatrofico. La cronicità nelle malattie dermatologiche rare è stato il tema cruciale dell’evento, fortemente voluto e organizzato dalla Dottoressa Silvia Battisti, psicoterapeuta IRPPI e coordinatrice di progetto ANPPI.

L’arrivo della pandemia

Giuseppe Formato, presidente ANPPI, ha descritto come si è modificata la richiesta di supporto nel periodo della pandemia. In precedenza le persone si rivolgevano all’associazione per conoscere i centri di riferimento, ottenere informazioni riguardo i loro diritti e incontrare altre persone con la stessa patologia. Nel duemilaventi invece, i volontari ANPPI si sono trovati di fronte a situazioni gravi, che necessitavano di visita dermatologica urgente o ricovero. Persone che avevano difficoltà nell’accesso alle cure a causa della necessaria riduzione dell’offerta assistenziale.

Cronicità ed emozioni

“Le nostre reazioni emotive sono una risorsa”, lo ha affermato la Dottoressa Silvia Battisti che, durante la sua relazione, ha descritto alcune delle reazioni emotive che emergono di fronte alla malattia. Ne è un esempio la paura che si avverte nel rapporto con un “corpo nuovo che non funziona come prima”. Emerge la paura di aver perso qualcosa. Tuttavia, spiega la Battisti, non si tratta di una perdita ma di un evento che va integrato nella nostra vita. La paura stessa è una risorsa, un punto di partenza, così come l’ansia è un elemento difensivo e protettivo che va ascoltato. La terapeuta sottolinea che tutti questi aspetti emotivi si possono raccogliere e valorizzare negli incontri di gruppo, come quelli che abbiamo realizzato con l’associazione. I gruppi di supporto permettono di condividere e co-costruire con gli altri la propria esperienza. Apprendere nuovi modi per vedere la realtà. Favorire l’adattamento alle nuove condizioni imposte dalla situazione di cronicità e l’accettazione della stessa. Le emozioni sono quindi una risorsa che dobbiamo mettere in campo per affrontare il cambiamento che la malattia porta con sé.

Cosa significa essere malato cronico

“La malattia cronica è una patologia per la quale non vi sono cure definitive” spiega il Dottor Roberto Maglie, coordinatore del Comitato Scientifico ANPPI. Il dermatologo spiega che molte malattie dermatologiche sono croniche e recidivanti ovvero alternano periodi in cui la malattia si manifesta a periodi in cui è silente. Molte persone, con malattia rara, si chiedono se essere affetti da una malattia cronica significa doversi sentire sempre malati. Il Dottor Maglie risponde di no, perché molte malattie dermatologiche croniche hanno lunghi periodi di remissione ed i pazienti non hanno motivo di temere il ritorno improvviso della malattia. Difatti il dermatologo possiede degli strumenti che gli permettono gestire la cronicità, nelle malattie dermatologiche rare è infatti possibile preevedere le recidive. Un altro dubbio che affligge i malati cronici è se vi sarà mai una guarigione. Maglie risponde con l’ottimismo tipico dei ricercatori: “Ci auguriamo che negli anni arrivino terapie definitive per molte malattie rare, perché la ricerca scientifica fa progressi!” 

Essere cronici è una risorsa

“Durante questa pandemia, in Lisclea è emerso che il malato raro cronico ha delle risorse in più rispetto agli altri”. Lo afferma la Presidente LISCLEA che spiega come  la persona con malattia cronica ha una sua disciplina nella salute e una migliore capacità di reagire alla malattia, perché già abituato ad essa. In quest’ottica quindi la cronicità appare come una risorsa per le persone con malattie dermatologiche rare.

“Il lichen in Italia è considerata malattia rara, ma non è così nel resto del mondo”. Da questa affermazione di Muriel Rouffaneau capiamo quanto sia importante la raccolta dati epidemiologici e la capacità del dermatologo di fare diagnosi. La Presidente LISCLEA ci racconta che spesso chi soffre di Lichen non ne parla, c’è un profondo senso di vergogna che interferisce molto nei rapporti interpersonali e nell’intimità. Una persona con malattia cronica, come il lichen, deve occuparsi di sè sempre, dedicando del tempo ai controlli periodici e alla cura della propria pelle, forse è anche questo il segreto del migliore approccio alle situazioni di emergenza, come la pandemia.

Cronicità in dermatologia

“Le malattie dermatologiche croniche presentano delle criticità specifiche” ha spiegato Carola Pulvirenti, Vicepresidente ANPPI. Fra le difficoltà, vi è la prescrizione di una terapia composta da compresse, pomate, unguenti e colliri. Una terapia come questa è frequente in dermatologia, e non è facile da gestire per il paziente ed il suo caregiver familiare, difatti non di rado le persone abbandonano la terapia. In questo contesto, risulta fondamentale il ruolo dell’infermiere di famiglia che garantisce supporto nel lungo periodo. La vicepresidente ha spiegato poi che, a Marzo 2020, il Sistema Sanitario ha dovuto concentrare le risorse per la cura delle persone con Covid, ma adesso la situazione si è protratta, pertanto è necessario riorganizzare le risorse perché le persone con malattie croniche non possono più aspettare.

Dubbi e domande delle persone con Lichen e Pemfigo 

A conclusione dell’interessante webinar, i professionisti hanno dato risposta alle numerose domande pervenute durante la diretta. Una persona ha chiesto ad esempio se il Lichen può essere provocato da farmaci antipertensivi. Altri dubbi vertevano su temi come il ruolo dei virus nelle malattie autoimmuni e l’influenza dello stress sulle stesse. Tutte le risposte, a queste e altre domande, si trovano nella registrazione realizzata dall’ufficio stampa ANPPI.

Carola Pulvirenti

Vicepresidente ANPPI