Un Halloween molto, molto particolare

Un Halloween molto, molto particolare. È una mattina del trentuno di ottobre. Il bar è addobbato per Halloween: sul bancone, zucche di tutte le forme, scolpite in espressioni sinistre; sui muri, grandi e ripugnanti ragnatele. La cassiera Adriana, che è una grande osservatrice, si accorge, mentre si adopera con le stoviglie, che sono appena entrati una donna e il suo bambino. Coi volti inespressivi, si avvicinano a passi lenti alla cassa. Sembrano arrivare entrambi dall’oltretomba: il bambino ha il volto pallido, le labbra grigie e gli occhi incavati; la madre sembra esausta, senza forze. 

– Buongiorno! Cosa vi posso servire?

– Prendiamo due biscotti e un cappuccino, grazie.

Che strano vedere, al mattino, una mamma e il proprio figlio insieme in un bar. E la scuola? Oggi, deduce Adriana, per loro è forse una giornata diversa. Lei non saprà nulla di loro, ma quella mamma e suo figlio sono reduci da un mese terribile in ospedale.

Otto mesi prima

Tutto era cominciato otto mesi prima di quell’Halloween, quando il bambino aveva cominciato ad avvertire dolori diffusi alla schiena. Una notte, poi, si era svegliato di notte molto agitato, senza fiato, ed erano corsi al pronto soccorso. Poggiato il fonendoscopio sulla schiena del bambino, la pediatra aveva notato che nell’emitorace destro i rumori respiratori erano molto ridimensionati rispetto alla norma e gli aveva prescritto una radiografia. L’esame aveva rilevato del liquido all’interno della pleura, il tessuto membranoso che riveste i polmoni. Con grande sorpresa del medico, nelle lastre non si riuscivano a vedere la clavicola destra e alcune vertebre. Alcuni giorni dopo, una biopsia ossea avrebbe chiarito la situazione: alcuni vasi linfatici, attraversando l’osso, avevano creato delle zone di riassorbimento e riduzione del midollo.

La malattia dell’osso fantasma

Questi cambiamenti patologici a carico del tessuto osseo corrispondevano a quelli che si osservano nella malattia rara di Gorham-Stout, comunemente nota come malattia dell’osso fantasma. Si tratta di una patologia molto rara, caratterizzata dallo sviluppo anomalo dei vasi sanguigni e linfatici che causa progressiva distruzione dell’osso. Nel caso di Matteo, la miscela di liquido linfatico e minerali ossei aveva causato un versamento pleurico, il chilotorace, motivo dei suoi problemi respiratori.

Fortunatamente le cure che i medici avevano scelto per Matteo facevano effetto ed il chilotorace si era risolto. Il bambino, però, continuava a respirare male ed il suo cuore batteva veloce. Un giorno, venne intubato d’urgenza ed inviato in rianimazione, perché  il liquido era finito nel pericardio, la membrana che circonda il cuore.

I medici, affranti, proposero allora, in una riunione multidisciplinare, di tentare un trattamento sperimentale mirato alla causa della malattia, utilizzato solo per un altro bambino al mondo. Questo trattamento prevede intervento chirurgico, radioterapia e somministrazione di due farmaci: un anticoagulante e un potente antitumorale con proprietà antinfiammatorie, l’Interferone Alfa.

Il protocollo sperimentale salvò Matteo, ma, purtroppo, non lo guarì. Purtroppo per la Sindrome di Gorham-Stout non esistono cure definitive. Una speranza, tuttavia, pare esserci: si tratta di anticorpi monoclonali, tra cui il Bevacizumab, studiato e utilizzato in via sperimentale dalla Divisione di Ematologia dell’Università dell’Alabama. Questo anticorpo lavorerebbe per bloccare non solo il riassorbimento osseo, ma anche la crescita incontrollata dei vasi linfatici e sanguigni.

L’incontro

La mamma di Matteo, uscita dalla farmacia, tornò al bar e Adriana ne fu, per qualche motivo, felice:

– È la signora che entrata poco fa col bambino?

– Il bambino?

– Signora, circa mezz’ora fa era qui al bar in compagnia di un bambino… Dico bene?

– Poco fa ho fatto colazione qui, sì, ma ero da sola. Mio filglio oggi avrebbe compiuto quattro anni.

Era certo un Halloween molto, molto particolare. Adriana non l’avrebbe più dimenticato.

Questo racconto di medicina narrativa è stato pubblicato su Il Bugiardino, mensile di Medicina e Medical Humanities.

La musica è la mia vita

Flavia Celano, cantautrice, 25 anni.

  “La musica è la mia vita“ dice Flavia, studentessa al secondo anno al Saint Louis College of Music di Roma, dove vive. Tiene gli occhi socchiusi, teme la luce, ma ogni tanto ugualmente li spalanca, quando esprime il suo entusiasmo per l’arte e la vita. Flavia è nata con una degenerazione maculare congenita e la sua fortissima motivazione per la musica deriva anche dalla famiglia: anche suo papà ha una passione per il canto e i suoi nonni hanno cantato a livello amatoriale. La sua vita è stata accompagnata dalla musica sin da bambina: da molto presto si è costruita il proprio percorso, canta da quando aveva tre anni e studia musica da undici. Ha iniziato con il pianoforte, che le ha dato un’ottima base tecnica, poi però ha scoperto l’ukulele, ed è stato amore, non se ne separa mai. Con l’ukulele si è presentata ad Xfactor, quando aveva sedici anni, superando la prima prova.

Luci e ombre di una malattia rara: la Degenerazione maculare congenita

La vista di Flavia Celano è annebbiata, fatta di immagini deformate, con lampi luminosi e zone oscure. La degenerazione maculare è una malattia rara in età pediatrica, la parte interessata è la macula, ovvero la porzione centrale della retina, un tessuto che riveste quasi tutta la parete interna dell’occhio e permette la vista in particolare in condizioni di luce soffusa. Il rischio di degenerazione maculare è più frequente col progredire degli anni, ma purtroppo può presentarsi anche in età molto giovane. Flavia Celano ne è affetta dalla nascita, si tratta di una disabilità non indifferente che, probabilmente, l’ha portata a sviluppare talento e sensibilità, facendo convergere le sue energie nell’arte, ed in particolare nella scrittura di testi e musica. La sua malattia sembra, per fortuna, stabile e oggi lei ci convive con grande coraggio e prova a rileggerla anche attraverso la musica.

La cecità degli altri

Sin da bambina Flavia ha dovuto fare i conti con il profondo disagio, provocato dalla malattia, ma anche con la “cecità” dei compagni di scuola, che vedevano in lei una persona diversa, da deridere ed isolare. Difatti l’artista ci ha raccontato di aver subito atti di bullismo che l’hanno portata ad isolarsi per anni. Molte persone non vedono affatto la sofferenza provocata dalle malattie rare, vedono solo una diversità che dà fastidio. Nel mondo dell’arte invece la diversità è un privilegio, forse per questo Flavia vi si è sentita accolta e capita ed ha iniziato la sua rinascita e oggi fa quello che ama, e canta con l’ anima. Non canta soltanto, ma scrive musica e testi delle sue canzoni, perché ritiene la scrittura, insieme al canto, fondamentale per la propria espressione. “Scrivo perché vivo,” – afferma sul suo sito, – “scrivo perché è come congelare un’esperienza che non vuoi abbandonare. E canto per condividere il mio sentire più profondo con chiunque voglia accoglierlo“. Il suo brano “Versi di fiato“, nato durante il lockdown, è ora disponibile su Spotify. Grazie, Flavia, per ricordarci che il passo verso i territori dell’OLTRE può riservare sorprese straordinarie e che il salto in quei luoghi promette immensa luce. 

Proprio oggi, 30 ottobre, alle ore 18.50, Flavia parteciperà a L’Eredità, la nota trasmissione di Rai 1. Collegati ora!

Cerca Flavia su Facebook e Instagram: Instagram @flaviacelano_1

I pazienti con immunosoppressione sono a rischio di infezione prolungata da Covid. In diversi casi clinici, i ricercatori hanno individuato varianti di SARS-CoV-2 insorte nel corso di tali casi di malattia persistente. Addirittura nello stesso paziente sono state trovate tre delezioni delle sequenze genomiche e dodici mutazioni della proteina spike (Choi et al). In un altro paziente immunocompromesso, Kemp e colleghi hanno rilevato che le mutazioni del virus sono aumentate dopo che il paziente ha ricevuto un’infusione di plasma iperimmune.

Le varianti nei pazienti immunocompromessi 

La letteratura scientifica ha  descritto dunque molteplici casi di questo tipo, perlopiù riguardanti pazienti oncologici o immunodepressi a causa di terapie. Come si innesca questo processo?  Stando alle ricerche condotte, il virus muterebbe proprio perché in questi pazienti la quantità di anticorpi non è sufficiente a contrastarlo e, al contempo, l’infezione dura più a lungo. All’interno di un organismo che dispone di pochi anticorpi, infatti, il virus ha tempo e modo di conoscerli e, di conseguenza, modificarsi per evitarli. Infezioni di lunga durata non sarebbero, dunque, pericolose soltanto per il paziente, ma potrebbero addirittura alterare il corso della pandemia.

Alcune terapie possono provocare varianti

Il rischio di generazione delle varianti si riscontrerebbe anche nei pazienti che, contratta l’infezione da Covid, vengono curati con anticorpi monoclonali o plasma dei pazienti guariti. In alcuni casi, queste terapie, non riuscendo a contrastare il virus, lo “addestrerebbero” a fronteggiare gli anticorpi, mutando il suo corredo genetico. Questo meccanismo, va specificato, è risultato più frequente nei pazienti che hanno pochi anticorpi a causa di terapie immunosoppressive. Si aggiunga a quanto detto che gli anticorpi monoclonali, costruiti prendendo come bersaglio la proteina spike del virus originario, potrebbero avere una efficacia minore quando agiscono contro varianti virali che contengono mutazioni in questa proteina. Il plasma dei guariti, invece, permetterebbe al Coronavirus di “conoscere” gli anticorpi infusi e quindi modificarsi per evitarli. Quest’ultimo, dunque, oltre a non essersi mostrato efficace, potrebbe aver favorito lo sviluppo di varianti.

I vaccini non producono varianti

La buona notizia è, invece, che i vaccini non costituirebbero un rischio in questo senso. Non solo. Uno studio realizzato dall’Università del Maryland su 20 paesi (tra cui l’Italia) ha infatti dimostrato che all’aumentare del numero dei vaccinati corrisponderebbe la riduzione del numero delle varianti del virus. Di contro, maggiore è il numero delle persone infette, maggiore è la possibilità di sviluppo di varianti.

In sostanza, si può affermare che lo sviluppo di varianti virali, fenomeno nell’ordine naturale delle cose, è assolutamente più frequente nelle aree a maggiore circolazione del virus. Il vaccino è dunque ancora l’arma migliore che possediamo per combattere l’infezione da Covid-19. Ed è l’unica in grado di tutelarci anche rispetto alle innumerevoli mutazioni che potrebbero riguardare questo virus.

Dal 29 settembre al 2 ottobre, si è tenuto il 30° congresso dell’Accademia Europea di Dermatologia e Venereologia EADV.

All’evento ha partecipato anche la Dott.ssa Alessandra Scarabello, neopresidente del Comitato Scientifico ANPPI, con esperienza ventennale nelle malattie dermatologiche rare. Molti sono stati gli argomenti trattati e gli aggiornamenti forniti nel campo dermatologico. Per le malattie bollose autoimmuni, la Dott.ssa Scarabello ci ha gentilmente fornito una sintesi dei temi trattati e ha descritto gli aggiornamenti più salienti, come riportato di seguito.

 

Terapie innovative per Pemfigo Volgare e Foliaceo

Al congresso sono stati presentati i trial clinici, in fase 3, per le malattie bollose autoimmuni. Fra questi è stato descritto un importante studio prospettico che vede coinvolti 99 centri nel panorama mondiale. La ricerca si propone di valutare l’efficacia, la sicurezza e la tollerabilità di un farmaco biologico, chiamato Efgartigimod PH20, in pazienti adulti con pemfigo volgare o foliaceo. L’obiettivo principale dello studio è dimostrare l’efficacia della somministrazione sottocutanea del biologico Efgartigimod co-formulato con ialuronidasi umana ricombinante PH20 rispetto al placebo.

Lo studio su Efgartigimod sotto cute

Lo studio è partito a dicembre 2020 per gli arruolamenti, il completamento del periodo di trattamento è stimato per giugno 2022, il termine dello studio comprensivo del follow-up si prevede per agosto 2022. All’inizio del trattamento tutti i pazienti riceveranno una dose iniziale di prednisone pari a 0.5 mg/Kg/die (per almeno 8 settimane); al giorno 1 e 8 una iniezione sottocutanea di placebo/PH20 o efgartigimod/PH20 (a seconda del gruppo di appartenenza) alla dose di 2 mg, seguite da iniezioni settimanali da 1 mg fino alla remissione della malattia (tempo massimo di trattamento 30 settimane). Il follow up sarà di 8 settimane dalla fine del trattamento.

Covid 19 e Pemfigo

Da uno studio di 12 casi di pazienti con manifestazioni severe di pemfigo, necessitanti di una terapia corticosteroidea ad alte dosi (tra 60 e 140 mg/die), contagiati da Sars-Cov-2. Cinque casi hanno presentato una malattia Covid asintomatica, 4 casi con sintomatologia minima e solo 3 casi con sintomi severi, comunque con esito favorevole. I sintomi sono durati per un periodo da 6 a 14 giorni. La terapia steroidea ad alte dosi per il pemfigo non è mai stata sospesa e probabilmente ha rappresentato un fattore protettivo contro le forme severe di malattia COVID.

Pemfigo Foliaceo e Alopecia

Uno studio tunisino ipotizza che le desmogleine-1 siano importanti anche nel mantenimento dell’integrità del follicolo pilifero.

Rituximab come prima linea di trattamento nel Pemfigo Volgare

Recenti studi dimostrano come la scelta del Rituximab, come prima linea di trattamento nel PV, sia più sicura, riguardo alle complicanze infettive, rispetto al suo utilizzo dopo terapie con immunosoppressori.

100 trilioni di microbi nell’intestino materno

Diverse ricerche recenti hanno provato che la salute del feto è strettamente legata al microbioma dell’intestino materno. E’ ben noto che i microbi intestinali della madre influenzano la salute del bambino, sia nel corso della gravidanza, che successivamente. Un microbioma sregolato potrebbe, ad esempio, innescare un’infiammazione intestinale e produrre effetti importanti sulla crescita del feto. Circa 10-100 trilioni di microbi vivono in simbiosi nel corpo umano e ne influenzano la salute mentale e fisica.

Uno studio sul microbioma dell’intestino materno

A giugno di quest’anno la rivista EBioMedicine ha pubblicato uno studio di grande rilievo, firmato da Gough e colleghi, che mette in luce la relazione tra il microbioma fetale, quello della mamma e alcuni dati quali l’età gestazionale, il peso alla nascita e la crescita neonatale. La ricerca è stata condotta nello Zimbabwe rurale, ed ha rinvenuto che la presenza di alcuni microorganismi (Blastoscystis sp, Brachyspira sp Treponeme) è risultata in quantità superiore rispetto a quella dei paesi ricchi. Nello stesso ambito è emerso che il microbioma materno influenza il metabolismo della vitamina B, fondamentale per il buon funzionamento del sistema nervoso e delle relative funzioni psicologiche e comportamentali del bambino. 

Le conseguenze sullo sviluppo psicologico del feto

Dai numerosi studi sul tema, si è visto che una dieta ad alto contenuto di grassi saturi, riduce la presenza di Lactobacillus reuteri nell’intestino materno. La conseguenza è l’abbassamento dei livelli di ossitocina nell’ipotalamo del bimbo, con un’influenza negativa sul comportamento sociale. Questa relazione è stata messa in luce nel 2016 da Shelly Buffington e colleghe sulla prestigiosa rivista Cell.

Di contro, proprio in virtù di una diversa composizione del microbiota fecale materno, una dieta salutare potrebbe ridurre il rischio di difficoltà emotive e comportamentali nei bambini. Sebbene siano necessari studi ulteriori, questa ricerca può già permetterci di trarre alcune conclusioni di rilievo: ostetriche e nutrizioniste devono assolutamente informare le donne incinte sullo stile alimentare da seguire in gravidanza.

La trasmissione del microbioma materno

C’è anche un altro aspetto di grande interesse, anch’esso oggetto di studi recenti. Per lungo tempo si è creduto che il microbioma, di bimbi nati con parto cesareo, fosse diverso rispetto a quello di bimbi nati con parto naturale. Questo perché si riteneva che il microbioma del bambino venisse infuso di quello materno proprio nel passaggio attraverso il canale vaginale. In particolare, nei bimbi nati con cesareo, si era osservata una minore presenza di Bacteroides. A dicembre del 2020, Cell Reports Medicine ha pubblicato uno studio che in qualche modo mette in crisi questa vecchia teoria. Il pool di Caroline Mitchell ha scoperto che la trasmissione batterica che si verifica durante il parto naturale deriverebbe non dalla vagina della madre, ma dal suo retto.

La vecchia teoria vaginale è stata criticata anche da un altro studio, pubblicato a luglio di quest’anno su EBioMedicine e che mirava a ripristinare il microbioma intestinale nei bimbi nati con parto cesareo attraverso la somministrazione orale di microbi vaginali materni. Il dato emerso è che non si è osservata alcuna differenza nella composizione del microbioma di questi bimbi rispetto a quelli che hanno ricevuto placebo. Entrambi questi gruppi hanno mostrato bassi Bacteroides rispetto ai bimbi nati da parto naturale.

Il futuro del microbioma

Il microbioma umano è un ecosistema complicato che oggigiorno suscita il grandissimo interesse non solo degli scienziati, ma anche dei cultori della materia. I suoi meccanismi di azione sono innumerevoli e la maggior parte di essi ancora sconosciuti. Per certo, la questione riguarda la gravidanza da molto vicino. Ulteriori studi, però, saranno necessari per scoprire i miliardi di meccanismi segreti che legano l’uomo al grande universo del microbioma.

BB