Primo incontro promosso dall’associazione pazienti ANPPI 2021

Si è tenuto il 29 gennaio scorso il primo incontro 2021 dell’Associazione Nazionale Pemfigo Pemfigoide in collaborazione con LISCLEA, Associazione delle persone con Lichen Scleroatrofico. La cronicità nelle malattie dermatologiche rare è stato il tema cruciale dell’evento, fortemente voluto e organizzato dalla Dottoressa Silvia Battisti, psicoterapeuta IRPPI e coordinatrice di progetto ANPPI.

L’arrivo della pandemia

Giuseppe Formato, presidente ANPPI, ha descritto come si è modificata la richiesta di supporto nel periodo della pandemia. In precedenza le persone si rivolgevano all’associazione per conoscere i centri di riferimento, ottenere informazioni riguardo i loro diritti e incontrare altre persone con la stessa patologia. Nel duemilaventi invece, i volontari ANPPI si sono trovati di fronte a situazioni gravi, che necessitavano di visita dermatologica urgente o ricovero. Persone che avevano difficoltà nell’accesso alle cure a causa della necessaria riduzione dell’offerta assistenziale.

Cronicità ed emozioni

“Le nostre reazioni emotive sono una risorsa”, lo ha affermato la Dottoressa Silvia Battisti che, durante la sua relazione, ha descritto alcune delle reazioni emotive che emergono di fronte alla malattia. Ne è un esempio la paura che si avverte nel rapporto con un “corpo nuovo che non funziona come prima”. Emerge la paura di aver perso qualcosa. Tuttavia, spiega la Battisti, non si tratta di una perdita ma di un evento che va integrato nella nostra vita. La paura stessa è una risorsa, un punto di partenza, così come l’ansia è un elemento difensivo e protettivo che va ascoltato. La terapeuta sottolinea che tutti questi aspetti emotivi si possono raccogliere e valorizzare negli incontri di gruppo, come quelli che abbiamo realizzato con l’associazione. I gruppi di supporto permettono di condividere e co-costruire con gli altri la propria esperienza. Apprendere nuovi modi per vedere la realtà. Favorire l’adattamento alle nuove condizioni imposte dalla situazione di cronicità e l’accettazione della stessa. Le emozioni sono quindi una risorsa che dobbiamo mettere in campo per affrontare il cambiamento che la malattia porta con sé.

Cosa significa essere malato cronico

“La malattia cronica è una patologia per la quale non vi sono cure definitive” spiega il Dottor Roberto Maglie, coordinatore del Comitato Scientifico ANPPI. Il dermatologo spiega che molte malattie dermatologiche sono croniche e recidivanti ovvero alternano periodi in cui la malattia si manifesta a periodi in cui è silente. Molte persone, con malattia rara, si chiedono se essere affetti da una malattia cronica significa doversi sentire sempre malati. Il Dottor Maglie risponde di no, perché molte malattie dermatologiche croniche hanno lunghi periodi di remissione ed i pazienti non hanno motivo di temere il ritorno improvviso della malattia. Difatti il dermatologo possiede degli strumenti che gli permettono gestire la cronicità, nelle malattie dermatologiche rare è infatti possibile preevedere le recidive. Un altro dubbio che affligge i malati cronici è se vi sarà mai una guarigione. Maglie risponde con l’ottimismo tipico dei ricercatori: “Ci auguriamo che negli anni arrivino terapie definitive per molte malattie rare, perché la ricerca scientifica fa progressi!” 

Essere cronici è una risorsa

“Durante questa pandemia, in Lisclea è emerso che il malato raro cronico ha delle risorse in più rispetto agli altri”. Lo afferma la Presidente LISCLEA che spiega come  la persona con malattia cronica ha una sua disciplina nella salute e una migliore capacità di reagire alla malattia, perché già abituato ad essa. In quest’ottica quindi la cronicità appare come una risorsa per le persone con malattie dermatologiche rare.

“Il lichen in Italia è considerata malattia rara, ma non è così nel resto del mondo”. Da questa affermazione di Muriel Rouffaneau capiamo quanto sia importante la raccolta dati epidemiologici e la capacità del dermatologo di fare diagnosi. La Presidente LISCLEA ci racconta che spesso chi soffre di Lichen non ne parla, c’è un profondo senso di vergogna che interferisce molto nei rapporti interpersonali e nell’intimità. Una persona con malattia cronica, come il lichen, deve occuparsi di sè sempre, dedicando del tempo ai controlli periodici e alla cura della propria pelle, forse è anche questo il segreto del migliore approccio alle situazioni di emergenza, come la pandemia.

Cronicità in dermatologia

“Le malattie dermatologiche croniche presentano delle criticità specifiche” ha spiegato Carola Pulvirenti, Vicepresidente ANPPI. Fra le difficoltà, vi è la prescrizione di una terapia composta da compresse, pomate, unguenti e colliri. Una terapia come questa è frequente in dermatologia, e non è facile da gestire per il paziente ed il suo caregiver familiare, difatti non di rado le persone abbandonano la terapia. In questo contesto, risulta fondamentale il ruolo dell’infermiere di famiglia che garantisce supporto nel lungo periodo. La vicepresidente ha spiegato poi che, a Marzo 2020, il Sistema Sanitario ha dovuto concentrare le risorse per la cura delle persone con Covid, ma adesso la situazione si è protratta, pertanto è necessario riorganizzare le risorse perché le persone con malattie croniche non possono più aspettare.

Dubbi e domande delle persone con Lichen e Pemfigo 

A conclusione dell’interessante webinar, i professionisti hanno dato risposta alle numerose domande pervenute durante la diretta. Una persona ha chiesto ad esempio se il Lichen può essere provocato da farmaci antipertensivi. Altri dubbi vertevano su temi come il ruolo dei virus nelle malattie autoimmuni e l’influenza dello stress sulle stesse. Tutte le risposte, a queste e altre domande, si trovano nella registrazione realizzata dall’ufficio stampa ANPPI.

Carola Pulvirenti

Vicepresidente ANPPI

 

La mia esperienza con le malattie rare

Febbraio è il mese delle malattie rare. La parola “rare” porta a credere che il fenomeno interessi solo una ristretta collettività. Sarà bene, invece, precisare che “rari” non significa “pochi” e neppure “soli.” Stando ai dati di Eurordis, l’organizzazione europea per le malattie rare, il numero totale di persone affette da queste patologie supererebbe i 300 milioni di persone. La cifra eguaglia quella della popolazione del terzo Paese più grande del mondo! Si tratta, insomma, di una comunità ben più popolosa di quanto si possa credere.

La storia di Carola, e del suo incontro con una malata rara, è indicativa della distanza che spesso corre tra il paziente e chi deve fronteggiare le sue richieste. Carola non era mai entrata in contatto con patologie di questo tipo, fino al giorno in cui si è ritrovata di fronte ad una donna, sua zia, costretta a letto da una malattia rara fortemente invalidante.

Per le particolari caratteristiche di queste patologie, è bene che l’attenzione rispetto alle stesse e alle loro implicazioni sia mantenuta vigile e costante. Le motivazioni sono varie e tutte strettamente concatenate fra loro. Le conoscenze scientifiche nel settore non sono sempre adeguate. I pazienti solo di rado entrano in contatto con professionisti competenti che forniscano loro diagnosi corrette e cure adeguate. Tutto questo senza considerare che il malato raro è estremamente vulnerabile sotto diversi punti di vista, non ultimo quello psicologico.

La sensibilizzazione è vitale per provare a migliorare tutti questi aspetti.

Per la maggior parte di queste malattie ancora oggi non è disponibile una cura efficace, ma alcuni trattamenti appropriati hanno migliorato la qualità della vita di moltissimi pazienti. I notevoli progressi ottenuti sono la dimostrazione che intensificare gli sforzi nella ricerca e nella solidarietà sociale porta buoni frutti.

Informazione e comunicazione, inutile dirlo, rivestono un ruolo cruciale in questo settore ancora non ben esplorato. Carola, che dal 2018 è vicepresidente proprio di un’associazione di malati rari (ANPPI), ha deciso di mettersi in ascolto di queste persone, creando rete pazienti, caregivers e professionisti. Oggi dedica tempo e risorse allo studio dell’advocacy, del Patient Engagement e della comunicazione in sanità.

Il 28 febbraio 2021 ricorre la Giornata Mondiale delle Malattie Rare o Rare Disease Day. Migliaia sono gli eventi organizzati in tutto il mondo per l’occasione e 103 le nazioni coinvolte. Il nostro augurio è che questa ricorrenza non passi inosservata e, invece, trovi canali di diffusione, diventi argomento di dibattito tra professionisti e non, e apra scenari di trasformazione concreta per il futuro. Portiamo un po’ di luce su questa strada un po’ fosca. Ce n’è bisogno.

La gestione della cronicità nella regione Molise

Due esperti di Cittadinanzattiva Molise sono stati i protagonisti del secondo appuntamento talk di Salute_Molise, il progetto promosso da Carola Pulvirenti per la testata CBlive.it. Carola ha intervistato il Dottor Carmine Tolve, medico di sanità pubblica, con anni di esperienza nell’assistenza domiciliare, Responsabile Regionale di Rete del Tribunale per i diritti del Malato e la Dott.ssa Anna Picciano, Coordinatrice Ostetrica con anni di esperienza nell’assistenza sanitaria, volontaria presso il Tribunale per i diritti del Malato.

Approvato nel 2016 il piano nazionale della cronicità

Le malattie croniche sono fra le priorità previste dallagenda 2030 dell’assemblea generale delle Nazioni Unite. Nel 2016 il governo italiano ha approvato il piano nazionale della cronicità, un atto di programmazione sanitaria fondamentale, messo a punto con il coinvolgimento di tutti: Associazioni di cittadini e pazienti, amministratori regionali e società scientifiche. Veniamo ora al Molise: il 31 di gennaio 2019 il commissario Giustini, incaricato dal Governo per garantire l’erogazione dei LEA nella Regione Molise, ha emanato l’atto di recepimento del Piano Nazionale della cronicità e ha dato mandato alla Direzione Generale ASREM di istituire il gruppo di lavoro regionale per l’attuazione del piano e la redazione del  piano regionale della cronicità.

Il Molise attende l’approvazione del piano regionale

Gennaio 2021: i cittadini del Molise attendono il Piano Regionale per la cronicità e questo ritardo, nell’attuazione delle disposizioni del governo, contribuisce a minare la loro fiducia nelle Istituzioni. Per questo abbiamo intervistato due egregi rappresentati dei cittadini molisani: il Dottor Tolve e la Dottoressa Picciano, che ogni giorno si confrontano con i cittadini.

Dottori, qual’è l’atteggiamento dei molisani nei confronti delle istituzioni?

Risponde la Dott.ssa Picciano: “ La pandemia ci ha portato a vivere isolati, anche per questo c’è malcontento, ma occorre pensare positivo, mantenere la fiducia nelle istituzioni perchè anch’esse stanno pagando lo scotto della pandemia e tutti insieme dobbiamo avere il coraggio di costruire insieme, piuttosto che criticare, perchè c’è la possibilità di avere una sanità equa e fruibile per tutti”.

Le Regioni che non hanno un piano per la cronicità hanno maggiori criticità nel garantire i LEA, peraltro è fra fra le Regioni italiane con maggiori malati di cuore, un problema cronico che  è anche tempodipendente.

Quali sono le istanze e proposte di Cittadinanzattiva Molise per migliorare l’assistenza alle persone con malattie croniche?

Risponde il Dottor Tolve: “Negli ultimi anni della mia carriera mi sono occupato di assistenza domiciliare e in Regione Molise si sono sperimentate delle innovazioni in questo settore, proprio perchè abbiamo un territorio di 300mila abitanti dove ci si conosce tutti. Tuttavia alcune innovazioni non sono arrivate, come la banda larga, la telemedicina. Noi chiediamo che vengano recuperate le cose buone dell’assistenza domiciliare del Molise, implementando le risorse umane e quelle tecnologiche. ”

Approfondiamo dunque il tema dell’assistenza domiciliare, tema fondamentale in una regione come il Molise dove la popolazione è distribuita su un vasto raggio di chilolmetri, con numerosi piccoli comuni non facilmente raggiungibili, pertanto la solitudine in cui si trovano alcune persone anziane malate, può diventare isolamento con gravi difficoltà di accesso alle cure. Un servizio da sempre supportato da Cittadinanzattiva Molise. 

Oggi come è organizzata l’assistenza domiciliare in Molise?

Dottor Tolve: “In questo momento i distretti riescono ad assicurare la presa in carico attraverso un’equipe multidisciplinare però, come dicevamo, i professionisti operanti in questo settore sono pochi ed il servizio andrebbe ulteriormente implementato, raccogliendo nuovi pazienti che devono evitare l’istituzionalizzazione. Perchè il Molise ha una rete sociale molto ben organizzata ed è su questa che dovrebbe porre le basi l’assistenza domiciliare, attraverso il supporto ai caregivers.”

Il talk di Salute_Molise prosegue con una dettagliata analisi della realtà sanitaria territoriale, portata avanti dalla Dott.ssa Picciano. Il contributo è stato così prezioso che vi dedicheremo un altro articolo. Ma è già possibile visionare l’intervista sul Canale You Tube di CBlive.

Carola Pulvirenti

Carola Pulvirenti è infermiera professionale dal 2003 e fino a qualche anno fa non conosceva le malattie rare e non aveva mai sentito parlare di malattie bollose autoimmuni. Nel 2016, tuttavia, qualcosa è cambiato.

Un giorno, mentre è al supermercato, Carola riceve un messaggio da sua zia Betty, una donna di quarantacinque anni, che le chiede di mandarle con urgenza qualcuno a casa a medicare le sue ferite. “Certo!” risponde subito Carola, “Ma di che tipo di ferite si tratta?”. Betty replica che si tratta di pemfigo, ma sua nipote non ne ha mai sentito parlare. Quando Betty invia una fotografia delle sue lesioni, Carola si accorge che la situazione è grave, così decide di valutarla personalmente.

Il giorno dopo è a casa di Betty, invasa da un odore fortissimo, e scopre che sua zia è quasi irriconoscibile: il 90% del suo corpo è coperto di ferite e la sua pelle è attaccata a vestiti e lenzuola. Non potendo ingerire nulla a causa delle ferite in bocca, Betty è magra, disidratata, e a letto da quindici giorni, impossibilitata a svolgere le proprie attività  quotidiane. Carola non ha mai visto niente del genere prima.

I primi sintomi, nella forma di macchie sul petto, si sono manifestati – spiegano Betty e le sue tre sorelle – nel 2006; poi la pelle ha iniziato a staccarsi, lasciando sul corpo ferite lancinanti. Trascorre un anno prima che arrivi una diagnosi: si tratta di Pemphigus Vulgaris. Il racconto prosegue: dopo sette anni di cortisonici, esperiti devastanti effetti collaterali, Betty ha deciso di sperimentare terapie alternative naturali associate a una dieta sana, pur ricorrendo, di tanto in tanto, ad antidolorifici.

Carola è incredula. Tornata a casa, svolgendo alcune ricerche, scopre che l’attenzione da parte della comunità  scientifica per la cura delle lesioni da pemfigo è drammaticamente bassa, probabilmente perché si tratta di malattie rare. Quella notte non chiude occhio. Non le dà  pace l’idea che sua zia Betty sia rimasta per lungo tempo in quella situazione, esposta a infezioni e dolori strazianti. Comincia, allora, a cercare testimonianze di altri pazienti affetti da questa patologia ed è così che si imbatte nel sito dell’Associazione Nazionale Pemfigo/Pemfigoide Italy.

Il giorno dopo, i pensieri di Carola sono ancora fissi sulla storia della zia. Aveva scoperto un mondo che non conosceva: quello delle malattie rare. Decisa ad aiutarla, contatta il presidente di ANPPI, che si mostra subito disponibile ad aiutarla. Raccolti questi consigli e recuperati degli abiti comodi per la zia, Carola si reca a casa sua e prova a convincerla della necessità  di un ricovero in ospedale. Al secco rifiuto di Betty, sua nipote decide allora di contattare un dermatologo omeopata, il solo dal quale la zia avrebbe accettato di farsi curare.

Due giorni dopo il medico è lì, scioccato dalle condizioni in cui si trova la donna, a cui spiega che la medicina alternativa può, sì, offrirle supporto per la patologia di cui soffre, ma non salvarle la vita. Solo dopo una lunga consulenza Betty si convince ad accettare il ricovero: viene bendata e condotta, a bordo di un’ambulanza, in un istituto dermatologico specializzato. Betty trarrà giovamento immediato in ospedale, non appena le saranno somministrate le cure appropriate: l’immunoterapia biologica le regalerà  la subitanea remissione dei sintomi. Ancora oggi la donna sta bene e non assume alcun medicinale.

L’esperienza con Betty è sconvolgente per Carola, che non capisce ancora come sia possible che una donna informata non riceva la giusta terapia per la propria patologia, pur vivendo in una grande città. Pochissimo si sa – scopre Carola – di queste patologie bollose autoimmuni. I bisogni di chi soffre, per esempio, di pemfigo/pemfigoide rimangono spesso insoddisfatti. È proprio per questi motivi, per tutta questa storia che Carola decide di dedicarsi a loro. Dopo qualche tempo si iscrive all’ANPPI e comincia a lavorare duro: contatta pazienti, medici, ricercatori con l’obiettivo di promuovere la conoscenza delle malattie rare come il pemfigo, di migliorare le risorse dei pazienti, di interagire con loro in progetti di ricerca e così via. Tutto questo, ai fini di provare a rendere più tollerabile la patologia nella vita di ogni giorno. 

Alla fine di questa storia di coraggio e passione, nel dicembre 2018, Carola viene nominata vice-presidente dell’ANPPI e ancora oggi è a stretto contatto con pazienti e professionisti con cui condivide l’entusiasmo per una battaglia difficile, ma necessaria. 

Quando siamo malati, siamo senza difese e abbiamo bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi, di creare rete, di avere un nucleo caldo a cui fare riferimento per non sentirci soli. È questo l’obiettivo di un’associazione per pazienti. Non farci sentire soli, né incompresi, ma parte di una comunità che ci accoglie con il limite cui la nostra malattia ci espone.

Grazie, Carola!
BB

Discutere il ruolo decisivo che i social network vanno guadagnandosi nel mondo che abitiamo rischierebbe di aprire un discorso trito. Piuttosto, sarebbe il caso di illuminare il dato che questi strumenti non toccano – per ragioni che non potremo indagare in questa sede –  tutti i settori con la stessa capillarità. 

Si pensi al grande universo della salute. I social network potrebbero aprire prospettive di grande interesse per la comunità dei pazienti, potrebbero rappresentare una possibilità notevolissima non solo per l’informazione e la sensibilizzazione, ma per la gestione delle implicazioni emotive della malattia (troppo spesso lasciate da parte), eppure – dati alla mano – ancora non vengono sfruttati al pieno delle loro potenzialità. 

Il 18 dicembre scorso, Carola Pulvirenti ha raggiunto un nuovo traguardo proprio in questo campo poco esplorato, portando a termine il programma HealthCom, il primo corso pratico in e-learning incentrato proprio sul tema della comunicazione sanitaria sui social, un percorso di formazione altamente specializzato rivolto non solo a medici, ma anche ad aziende sanitarie e associazioni di settore. Intravedendo nel programma stimolanti potenzialità, Carola ha deciso di prendervi parte e ha lavorato per acquisire solide competenze.

Sin da subito, il corso prepara a costruire in modo efficace la propria presenza online attraverso incisive strategie di comunicazione. In sei mesi, Carola ha imparato a  strutturare le valutazioni sui social più adatti all’obiettivo, a gestire con efficacia campagne di prevenzione, persino a raccontare eventi pubblici in modo persuasivo, avendo cura di costruire prima e preservare poi un rapporto di fiducia con i cittadini-pazienti della comunità in rete. Non solo: il corso l’ha preparata a costruire collaborazioni e a quantificare il proprio impegno e quello dei collaboratori, avvicinandola alla consapevolezza che quello del social media manager, essendo un lavoro a tutti gli effetti, va studiato anche nei suoi potenziali risultati economici. 

Coordinatrice del corso è Cristina Da Rold, giornalista scientifica e consulente nell’ambito della comunicazione digitale che si occupa di giornalismo sanitario data-driven principalmente su Il Sole 24 Ore, L’Espresso e Oggiscienza e dal 2015 è consulente per la comunicazione/social media presso l’Ufficio italiano dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Cristina lavora anche su temi legati all’epidemiologia, con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e ai problemi legati al mancato accesso alle cure.

Il contributo che questi strumenti promettono di offrire in questo ambito è considerevole. L’auspicio è, però, che questa esplorazione venga condotta con etica e professionalità, pena l’invalidità della sua efficacia.

BB

 

 

 

Cominciato da poco, il nuovo anno porta già le prime buone notizie. Si tratta dello studio di Alessandra Scarabello, Mauro Berta e Carola Pulvirenti, che indaga con grande perizia le interessanti potenzialità della terapia fotodinamica (PDT), un trattamento che, sfruttando la reazione ossidativa scatenata dalla luce, elimina le cellule patologiche dell’epidermide e le sostituisce con cellule nuove. Si tratterebbe, come annuncia il titolo, non soltanto di una grande opportunità per chi è affetto da patologie dermatologiche rare, ma anche di una nuova avvincente sfida per chi è impiegato nel settore del wound care.  

Quando si fa un passo nel grande universo delle malattie dermatologiche, è bene usare delicate cautele. Sono numerose le difficoltà che il paziente può trovarsi ad incontrare prima di imbattersi finalmente in un trattamento che dia esito positivo e, anche allora, non è detto che quello sia definitamente risolutivo. Non accade di rado, infatti, che i bisogni di salute che emergono in concomitanza con queste patologie restino insoddisfatti. Addirittura, in qualche caso, essi rimangono sconosciuti persino allo specialista. E, invece, contrariamente a quanto si tende a credere, certe implicazioni sulla vita di questi pazienti possono diventare fortemente invalidanti: la malattia dermatologica non è causa solo di problemi puramente estetici – ammesso che, per qualche motivo, essi debbano considerarsi di importanza secondaria -, ma anche di problemi funzionali, in qualche caso all’origine anche di gravissime limitazioni fisiche. Tutto questo dicasi per non entrare nel merito dei modi in cui queste patologie possono finire per compromettere la vita di relazione del paziente, quella sessuale, del proprio rapporto con se stesso/a e via dicendo. 

Insieme a tutto questo va poi rilevato che se, come capita, i presidi sanitari necessari alla cura delle lesioni non rientrano nel piani terapeutici regionali, le visite mediche e gli esami clinici dermatologici richiedono al paziente un impegno economico non indifferente. Nel 2011, si esprimeva a tale proposito proprio il Comitato Nazionale di Bioetica, che  constatava non soltanto la scarsa disponibilità di farmaci innovativi specifici per il trattamento delle patologie dermatologiche, ma anche le drammatiche differenze in termini di disponibilità economiche delle varie regioni italiane. 

In questo quadro così complesso, inutile dirlo, restano cruciali il ruolo del medico e, non ultimo, quello del caregiver familiare, che purtroppo si trova troppo spesso ad assistere il paziente senza avere un’adeguata formazione nel settore.

Come provare a sciogliere la questione? “La terapia fotodinamica nelle malattie dermatologiche rare. Opportunità e sfida” è un giusto passo, un libro che illumina (è proprio il caso di dirlo) le zone d’ombra di questo universo, per il paziente e, insieme, per lo scienziato. Entrambi hanno oggi ha a disposizione un trattamento di grande efficacia e senza effetti collaterali, di cui era necessario che si parlasse.

Finalmente.

Buon anno di luce.

BB

“Il Progetto Salute_Molise di CBlive è un’idea bellissima, stimola il dibattito, il confronto e la circolazione delle idee. E’ di questo che abbiamo bisogno, soprattutto in questo periodo cruciale, dove ci troviamo ad affrontare delle sfide fondamentali per il nostro futuro.” E’ questo il commento dell’Avvocato Tina De Michele, intervenuta al primo talk di Salute_Molise. L’avvocato promuove un’approccio moderno alla medicina, non fondato sull’idea dell’ospedale come unica risposta ai problemi di salute. – E’ necessario piuttosto capire quali sono le cause della malattia e come prendersi cura di sè, in questo è fondamentale il dialogo fra le parti interessate.- Afferma.

La medicina del territorio è il tema cruciale dell’intervista realizzata da Carola Pulvirenti per CBlive. Argomento al centro di un progetto di sanità pubblica recentemente proposto alle istituzioni da parte della diocesi di Termoli Larino. Fra gli autori del documento vi è l’Avvocato Tina De Michele, Presidente della Consulta delle disabilità del Comune di  Termoli, che da due anni opera presso il Centro Antiviolenza Befree di Termoli e collabora con il mensile “La Fonte”che ha la paternità del progetto. Abbiamo contattato la redazione  del mensile ed invitato la De Michele al primo talk di Salute_ Molise. 

Si è parlato di salute globale e di integrazione dei servizi socio-sanitari, anche attraverso il supporto ai caregivers familiari, un esercito di persone che si prendono cura dei malati cronici e non vanno lasciati soli. Di seguito presentiamo un’estratto dell’intervista che si trova sul Canale You Tube di CBLive. 

Avvocato, sul progetto spiegate che l’attuale sistema sanitario italiano è centrato  sulla malattia piuttosto che su salute e prevenzione. Non posso che essere d’accordo, ma ci spieghi cosa significa questo nella vita quotidiana dei cittadini molisani.  

– L’idea della salute che noi sposiamo guarda all’individuo a 360 gradi, in tutto il suo contesto di relazioni, compreso l’ambiente in cui vive. La medicina territoriale è quella più vicina all’individuo e in grado di rispondere ai suoi bisogni individuali.

Un tema tanto dibattuto in Molise è il progetto per identificare l’Ospedale di Larino come centro Covid. Secondo Lei, in che modo e in che tempi Larino potrebbe divenire un centro Covid? 

– In altre regioni è stato fatto, a mio avviso adesso forse è tardi, ma all’inizio dell’emergenza andava presa una scelta basata sulle richieste dei cittadini. La proposta del Hub – Larino era stata accolta da 118 sindaci locali e ratificata dal Consiglio Regionale ma purtroppo l’approccio delle istituzioni governative non è stato così aperto al dialogo, come avremmo voluto.

Il tema delle assunzioni di personale sanitario è fra gli aspetti citati nel progetto. Una regione commissariata come il Molise, può indire concorsi pubblici per assumere? 

– Certamente. Dal 2018 la Regione Molise può assumere. La criticità è nel criterio con cui si assume: il governo ha stanziato dei fondi per la medicina territoriale, per investirli è importante che ci sia un criterio, una visione.

La Diocesi di Termoli Larino rappresenta un popoloso gruppo di cittadini, non solo con un credo comune, ma anche con una efficace organizzazione gerarchica e la capacità di comunicare in maniera rapida ed efficace. In che modo questa comunità organizzata potrebbe essere d’aiuto alle politiche sanitarie regionali?  

 – La Diocesi ci ha supportato perché vive e respira nella società civile, è capace quindi di leggere i bisogni e di interpretarli. A questo proposito suggerisco la lettura dell’Enciclica ‘ Fratelli Tutti’, di Papa Francesco. 

Per approfondire questi temi è possibile visionare l’intervista integrale sul Canale You Tube di CBLive. Un servizio dedicato alle risorse del territorio molisano, con l’obiettivo di raccogliere idee, proposte ed energie per realizzare insieme un futuro migliore.

 Carola Pulvirenti

COVID-19 e CUORE UMANO: una convivenza difficile.

 Covid-19 e malattie del cuore: insieme aumentano il rischio di morte. Lo dicono i dati finora raccolti e presentati dai ricercatori del INMI “L.Spallanzani” nell’informativa quotidiana al personale interno. Il grafico descrive le cinque patologie croniche maggiormente presenti nelle persone decedute per Covid-19. Tutte interessano il sistema circolatorio: ipertensione, cardiopatia ischemica, diabete mellito tipo 2, insufficienza renale e fibrillazione atriale come complicanza dell’ipertensione arteriosa e della cardiopatia ischemica.

Sappiamo che il Covid-19 provoca una Sindrome Acuta Respiratoria Severa (SARS) si è pensato fosse questa la causa della morte per migliaia di persone. Oggi però stanno emergendo nuovi dati, che collegano la malattia anche ad un problema cardiocircolatorio.

“Il CoviD19 può determinare un peggioramento delle condizioni cliniche dei pazienti con patologie preesistenti quali ipertensione, diabete, cardiopatia e fibrillazione atriale permanente. Questo avviene a causa di tre condizioni principali: la forma interstiziale della polmonite da covid19, la conseguente scarsa ossigenazione e le microembolie diffuse, che ulteriormente peggiorano l’ossigenazione del sangue”, questo il commento del Dottor Gianluigi Biava, cardiologo del’INMI Spallanzani che da 11 anni segue tutti i pazienti cardiopatici dell’Istituto.

 

 

La microembolia è l’ostruzione del flusso ematico e provoca ischemia, ovvero ridotta ossigenazione del tessuto a valle, con conseguente morte cellulare. Nei pazienti Covid19 questa embolia sembrerebbe interessare diversi organi, soprattutto i polmoni.

Nell’ interstiziopatia gli alveoli, microsacche d’aria che sono parte funzionale dei polmoni, sono circondate da uno spazio chiamato interstizio; è all’interno di questo, dove si trovano i capillari polmonari, che avvengono gli scambi respiratori che permettono l’ossigenazione del sangue. Lo spazio interstiziale, nella polmonite da covid, è colpito da una grave infiammazione che provoca un accumulo di liquido infiammatorio e tessuto fibroso, impedendo così il passaggio di ossigeno nel sangue. Dunque a causa della Sindrome Acuta Respiratoria Severa (SARS), dovuta al Covid19, gli organi e tessuti ricevono poco ossigeno.

Quando il Covid-19 colpisce il cuore, in che modo lo fa?

“Una condizione che ho trovato di frequente è il cosiddetto ‘ cuore polmonare acuto’ (vedi Grafico 2), confermato dalle indagini elettrocardiografiche che, in molti casi, hanno mostrato una fibrillazione atriale dovuta a dilatazione delle cavità destre, con insufficienza della valvola tricuspide e aumento della pressione polmonare. Questo fa peggiorare il quadro clinico con insufficienza cardiaca congestizia, che si manifesta con affanno, dispnea anche a riposo, turgore delle giugulari, stasi venosa a livello epatico, edemi degli arti inferiori.

Questo scompenso cardiaco, però, non è globale, perchè interessa soltanto il cuore destro.

Uno studio pubblicato l’8 aprile su The New England Journal of Medicine presenta tre casi clinici di coagulopatia in pazienti Covid19.(https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMc2007575 ) La coagulopatia è un tema cruciale nei pazienti Covid?

Questo non è confermato, è vero che i pazienti manifestano delle microembolie ma il motivo principale sembra essere l’importante ruolo giocato dalla grave forma infiammatoria polmonare che aumenta il rischio di trombosi e quindi di microembolie polmonari.

Dal punto di vista cardiologico, ci sono dei farmaci specifici?

Gli anticoagulanti si usano come terapia preventiva in tutti i pazienti ricoverati per Covid-19, si possono usare anche i diuretici e tutti gli antipertensivi noti in caso di ipertensione.

Qual è dunque il problema principale delle persone ricoverate per Covid-19?

Il problema principale è la grave infiammazione dovuta all’infezione e questa si cura sostanzialmente con il cortisone e con un anticorpo monoclonale (Tocilizumab) ed il virus stesso, contro il quale vengono usati farmaci antivirali, ma questa è materia tutta infettivologica.

Le persone che hanno una patologia cronica, per cui assumono cortisonici e anticoagulanti, in caso di infezione Covid-19, potrebbero essere in qualche modo protette dalle proprie terapie?

In teoria sì. Ma al contempo, il cortisone può ridurre la capacità dell’organismo di combattere il virus abbassando le sue difese immunitarie.

Quali sono gli altri argomenti su cuore e Covid-19?

La miocardite fulminante, che è patologia grave ma molto rara.

La buona notizia è che queste conoscenze, sulla malattia da Covid-19, stanno permettendo ai medici di mettere in atto interventi maggiormente appropriati ed in tempi più veloci. Dunque il nostro punto di vista è che chi si ammala oggi ha maggiori possibilità di cure rispetto a chi, purtroppo, si è ammalato all’inizio della pandemia.

 

La mascherina chirurgica è il simbolo indiscusso dell’anno 2020, per gli operatori sanitari però il protagonista di questa pandemia è il casco, presidio che la Società Italiana di Pneumologia ha identificato come scelta terapeutica ideale, da posizionare alla maggior parte dei pazienti con grave sindrome respiratoria da Covid-19.

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La principale manifestazione clinica dei pazienti COVID-19 è rappresentata da un’ipossia acuta, insufficienza respiratoria che in molti casi richiede un supporto ventilatorio invasivo, come l’intubazione endotracheale.

 

Gli studi di biologia molecolare hanno evidenziato che il virus COVID-2019, per entrare nelle cellule, usa un recettore maggiormente espresso sulle cellule epiteliali delle vie aeree. L’esame istologico su tessuto polmonare mostra un danno alveolare diffuso: all’interno degli alveoli si identificano delle aree di sofferenza cellulare provocata dal virus. Nei casi più gravi la respirazione diventa impossibile e i sanitari intervengono per gestire questa Insufficienza Respiratoria Acuta. In questi casi viene raccomandato il supporto respiratorio precoce con Ventilazione Non Invasiva (NIV).

La NIV è un sistema ventilatorio di natura meccanica a pressione positiva che si sostituisce all’utente nelle varie fasi degli atti respiratori; può essere nasale, facciale, total-face o a casco, a seconda delle esigenze e della tollerabilità. Rispetto alle maschere facciali, il casco permette una minore dispersione delle goccioline nell’aria, riducendo il rischio di contaminazione degli operatori sanitari, inoltre si è mostrato maggiormente efficace e confortevole per il paziente.

 

Il casco, chiamato anche scafandro, è un cappuccio trasparente con collare morbido alla base e due cinghie che si posizionano sotto le ascelle del paziente, permettendo al dispositivo di rimanere attaccato alle spalle e creare la dovuta pressione di ossigeno. Da un tubo entra l’ossigeno ad alto flusso, dall’altro esce l’anidride carbonica. Si tratta di un sistema a Pressione Positiva Continua delle vie Aeree (C-PAP)  https://www.mdpi.com/2077-0383/9/4/1191 che permette di recuperare gli alveoli malati e migliorare la quantità di ossigeno nell’organismo.

 

Quello descritto è l’aspetto puramente meccanico della C-PAP ma, nell’utilizzo di questa terapia, occorre valutare in maniera preliminare moltissimi aspetti di natura fisiopatologica e monitorarli costantemente: la frazione di ossigeno inspirata dal paziente, la pressione dell’anidride carbonica, il pH ematico del paziente, la frequenza respiratoria, il sistema sensorio. Per questo motivo è necessaria la presenza di personale medico e infermieristico addestrato e fortemente motivato, in grado di interpretare i dati rilevati dal monitoraggio e lavorare su turni di 24 ore.

Il monitoraggio è fondamentale perchè nella Covid-19, come in molte polmoniti interstiziali, i pazienti inizialmente stabili possono peggiorare improvvisamente a causa dell’ipossiemia  refrattaria, l’aumento del numero degli atti respiratori e la febbre alta. L’ipossiemia refrattaria è la condizione in cui l’ossigeno scarseggia nel sangue perchè i polmoni non riescono ad assorbirlo. E’ causata dal riempimento dello spazio tra gli alveoli in seguito all’infiammazione provocata dal virus.