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Covid-19: e chi non può vaccinarsi?

La campagna vaccinale continua a salvare vite, ma purtroppo una parte significativa della popolazione mondiale per motivi di salute non può vaccinarsi. Esiste oggi una terapia contro il Covid per tutelare queste persone? Molte di esse sono già largamente utilizzate, ma si limitano a contrastare i danni dell’infezione da Covid, non essendo in grado di impedire la replicazione del virus. Più interessante per il suo meccanismo d’azione sembrerebbe, invece, la terapia antivirale, su cui diverse case farmaceutiche stanno attivamente lavorando.

La terapia anti-Covid disponibili oggi in Italia

L’Organizzazione Mondiale della Sanità aggiorna regolarmente le linee guida per la gestione clinica dei pazienti affetti da Covid-19. Ad oggi, però, i farmaci consigliati sono in grado soltanto di contrastare gli effetti dell’infezione, prima fra tutti la grave reazione infiammatoria sistemica. Questi farmaci sono gli antagonisti dei recettori dell’Interleuchina 6 – Tocilizumab e Sarilumab – per i pazienti con Covid-19 severo o critico; e il Regeneron – Casirivimab e Imdevimab – per i pazienti con forme lievi, ma a rischio di progredire verso l’ospedalizzazione, nonché per i pazienti con Covid severo o critico che non abbiano ancora sviluppato gli anticorpi contro il virus. In qualche caso, l’OMS fornisce indicazioni anche sull’utilizzo di corticosteroidi, sconsigliati, però, nelle forme lievi di Covid-19 perché in grado di favorire la replicazione del virus.

La terapia antivirale

Il limite di questi farmaci, come annunciato, starebbe nel fatto che si limitano a migliorare le implicazioni di una infezione già in corso. La grande novità nella gestione della infezione da Covid-19 consisterebbe, invece, nella terapia antivirale. La scoperta è delle case farmaceutiche Merck e Pfizer, che hanno di recente prodotto delle compresse in grado di limitare la replicazione del virus ben prima che esso possa danneggiare l’organismo che lo ospita. Si tratterebbe, infatti, proprio di inibitori delle proteasi, enzimi necessari ai virus per replicarsi. Bloccando questi enzimi, il virus si replicherebbe molto meno e l’organismo avrebbe modo di contrastarlo. Questo farmaco non è stato ancora distribuito in Italia, ma per altri scopi è stato già utilizzato nel nostro paese: in passato, ha rivoluzionato le cure di due gravi malattie come epatite C e HIV.

Dai primi risultati, sembrerebbe cruciale il momento della somministrazione di queste compresse. Risultati migliori, infatti, si sono ottenuti quando somministrate nei primi giorni dalla comparsa dei sintomi dell’infezione da Covid-19.

Ha senso vaccinarsi?

Finora, queste nuove terapie sono state sperimentate solo in soggetti a rischio come i non vaccinati che avevano qualche patologia. Sono in corso, però, nuovi studi clinici su popolazioni di persone vaccinate e che non hanno particolari fattori di rischio per la forma grave di Covid-19. Inoltre, si intende verificare l’efficacia di questi farmaci quando somministrati a chi convivesse con una persona positiva al Covid-19. Sarà bene, in questo contesto, chiarire che questi nuovi farmaci non sostituiscono i vaccini su cui gli scienziati di tutto il mondo continuano attivamente a lavorare.

I pazienti con immunosoppressione sono a rischio di infezione prolungata da Covid. In diversi casi clinici, i ricercatori hanno individuato varianti di SARS-CoV-2 insorte nel corso di tali casi di malattia persistente. Addirittura nello stesso paziente sono state trovate tre delezioni delle sequenze genomiche e dodici mutazioni della proteina spike (Choi et al). In un altro paziente immunocompromesso, Kemp e colleghi hanno rilevato che le mutazioni del virus sono aumentate dopo che il paziente ha ricevuto un’infusione di plasma iperimmune.

Le varianti nei pazienti immunocompromessi 

La letteratura scientifica ha  descritto dunque molteplici casi di questo tipo, perlopiù riguardanti pazienti oncologici o immunodepressi a causa di terapie. Come si innesca questo processo?  Stando alle ricerche condotte, il virus muterebbe proprio perché in questi pazienti la quantità di anticorpi non è sufficiente a contrastarlo e, al contempo, l’infezione dura più a lungo. All’interno di un organismo che dispone di pochi anticorpi, infatti, il virus ha tempo e modo di conoscerli e, di conseguenza, modificarsi per evitarli. Infezioni di lunga durata non sarebbero, dunque, pericolose soltanto per il paziente, ma potrebbero addirittura alterare il corso della pandemia.

Alcune terapie possono provocare varianti

Il rischio di generazione delle varianti si riscontrerebbe anche nei pazienti che, contratta l’infezione da Covid, vengono curati con anticorpi monoclonali o plasma dei pazienti guariti. In alcuni casi, queste terapie, non riuscendo a contrastare il virus, lo “addestrerebbero” a fronteggiare gli anticorpi, mutando il suo corredo genetico. Questo meccanismo, va specificato, è risultato più frequente nei pazienti che hanno pochi anticorpi a causa di terapie immunosoppressive. Si aggiunga a quanto detto che gli anticorpi monoclonali, costruiti prendendo come bersaglio la proteina spike del virus originario, potrebbero avere una efficacia minore quando agiscono contro varianti virali che contengono mutazioni in questa proteina. Il plasma dei guariti, invece, permetterebbe al Coronavirus di “conoscere” gli anticorpi infusi e quindi modificarsi per evitarli. Quest’ultimo, dunque, oltre a non essersi mostrato efficace, potrebbe aver favorito lo sviluppo di varianti.

I vaccini non producono varianti

La buona notizia è, invece, che i vaccini non costituirebbero un rischio in questo senso. Non solo. Uno studio realizzato dall’Università del Maryland su 20 paesi (tra cui l’Italia) ha infatti dimostrato che all’aumentare del numero dei vaccinati corrisponderebbe la riduzione del numero delle varianti del virus. Di contro, maggiore è il numero delle persone infette, maggiore è la possibilità di sviluppo di varianti.

In sostanza, si può affermare che lo sviluppo di varianti virali, fenomeno nell’ordine naturale delle cose, è assolutamente più frequente nelle aree a maggiore circolazione del virus. Il vaccino è dunque ancora l’arma migliore che possediamo per combattere l’infezione da Covid-19. Ed è l’unica in grado di tutelarci anche rispetto alle innumerevoli mutazioni che potrebbero riguardare questo virus.

Il potere antivirale degli oli essenziali

Potrebbe suonare come l’ennesima fake news, eppure recenti studi scientifici attestano che gli oli essenziali  sarebbero in grado di agire non solo contro una vasta gamma di batteri e funghi, ma anche contro patogeni virali, inclusi quelli di varie influenze e – udite udite! – dei coronavirus. Lo annuncia un articolo scientifico scritto dai ricercatori di un’università indiana e pubblicato pochi mesi.

Esperimenti su lavanda, cannella e citronella

Gli oli essenziali di cannella, bergamotto, citronella, timo, lavanda, per esempio, eserciterebbero un potentissimo effetto antivirale contro l’influenza di tipo A. Quelli di foglie di agrumi sarebbero, invece, efficaci contro il virus H5N1. O ancora, in certe concentrazioni, l’olio essenziale di Lippia indurrebbe una remissione del 100% del virus della febbre gialla. Addirittura, gli oli di timo, citronella e rosmarimo officinale destabilizzerebbero il complesso Tat/TAR-RNA del virus HIV-1, complesso fondamentale per la duplicazione dello stesso virus.

Gli oli contro le sindromi acute da SARS-CoV

Ancora più incredibile il dato che ben 221 elementi, tra i composti fitochimici e gli oli essenziali testati, avrebbero un effetto antivirale notevole contro le sindromi respiratorie acute associate al virus SARS-CoV. L’esperimento, effettuato anche sui polli, ha mostrato non solo una significativa riduzione dei sintomi e delle lesioni cliniche, ma anche della quantità di RNA virale nella trachea degli uccelli. Non solo, negli animali testati, risultati protetti per quattro giorni dal virus dopo la somministrazione degli oli, è risultata ridotta per ben due settimane persino la trasmissione dell’infezione.


Il meccanismo di azione degli oli

La tempesta di citochine (dalla rivista Nature)

Ma come funzionano queste sostanze? In che modo agiscono nel virus? Lipofili per natura, questi oli penetrano facilmente le membrane virali e così provocano la disintegrazione del capside, l’involucro proteico della particelle virali. In questo modo, essi impediscono al virus di infettare la cellula ospite come avviene di solito attraverso l’adsorbimento via capside. Non solo, gli oli sopprimono le tempeste citochiniche generate durante le infezioni da SARS-CoV-2 e quindi inibiscono l’infiammazione alveolare. É in questo modo che essi riducono i sintomi letali della malattia e la riposta infiammatoria delle cellule.

Prospettive future

 La letteratura scientifica sul tema è più vasta di quello che si possa pensare e  indica che gli oli essenziali possono considerarsi di grande beneficio contro il COVID-19. Sarebbe molto utile svolgere ulteriori ricerche sull’argomento, soprattutto visto che il mondo intero è ancora in balia di questo virus e delle sue varianti. Si tratta di una possibilità da esplorare con grandissima attenzione, e non solo per gli esiti già espressi negli esperimenti condotti. Ma perché gli stessi hanno portato alla luce il potenziale incredibile di elementi assolutamente e totalmente naturali.

BB