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I pazienti con immunosoppressione sono a rischio di infezione prolungata da Covid. In diversi casi clinici, i ricercatori hanno individuato varianti di SARS-CoV-2 insorte nel corso di tali casi di malattia persistente. Addirittura nello stesso paziente sono state trovate tre delezioni delle sequenze genomiche e dodici mutazioni della proteina spike (Choi et al). In un altro paziente immunocompromesso, Kemp e colleghi hanno rilevato che le mutazioni del virus sono aumentate dopo che il paziente ha ricevuto un’infusione di plasma iperimmune.

Le varianti nei pazienti immunocompromessi 

La letteratura scientifica ha  descritto dunque molteplici casi di questo tipo, perlopiù riguardanti pazienti oncologici o immunodepressi a causa di terapie. Come si innesca questo processo?  Stando alle ricerche condotte, il virus muterebbe proprio perché in questi pazienti la quantità di anticorpi non è sufficiente a contrastarlo e, al contempo, l’infezione dura più a lungo. All’interno di un organismo che dispone di pochi anticorpi, infatti, il virus ha tempo e modo di conoscerli e, di conseguenza, modificarsi per evitarli. Infezioni di lunga durata non sarebbero, dunque, pericolose soltanto per il paziente, ma potrebbero addirittura alterare il corso della pandemia.

Alcune terapie possono provocare varianti

Il rischio di generazione delle varianti si riscontrerebbe anche nei pazienti che, contratta l’infezione da Covid, vengono curati con anticorpi monoclonali o plasma dei pazienti guariti. In alcuni casi, queste terapie, non riuscendo a contrastare il virus, lo “addestrerebbero” a fronteggiare gli anticorpi, mutando il suo corredo genetico. Questo meccanismo, va specificato, è risultato più frequente nei pazienti che hanno pochi anticorpi a causa di terapie immunosoppressive. Si aggiunga a quanto detto che gli anticorpi monoclonali, costruiti prendendo come bersaglio la proteina spike del virus originario, potrebbero avere una efficacia minore quando agiscono contro varianti virali che contengono mutazioni in questa proteina. Il plasma dei guariti, invece, permetterebbe al Coronavirus di “conoscere” gli anticorpi infusi e quindi modificarsi per evitarli. Quest’ultimo, dunque, oltre a non essersi mostrato efficace, potrebbe aver favorito lo sviluppo di varianti.

I vaccini non producono varianti

La buona notizia è, invece, che i vaccini non costituirebbero un rischio in questo senso. Non solo. Uno studio realizzato dall’Università del Maryland su 20 paesi (tra cui l’Italia) ha infatti dimostrato che all’aumentare del numero dei vaccinati corrisponderebbe la riduzione del numero delle varianti del virus. Di contro, maggiore è il numero delle persone infette, maggiore è la possibilità di sviluppo di varianti.

In sostanza, si può affermare che lo sviluppo di varianti virali, fenomeno nell’ordine naturale delle cose, è assolutamente più frequente nelle aree a maggiore circolazione del virus. Il vaccino è dunque ancora l’arma migliore che possediamo per combattere l’infezione da Covid-19. Ed è l’unica in grado di tutelarci anche rispetto alle innumerevoli mutazioni che potrebbero riguardare questo virus.

Per chi è prevista la terza dose vaccinale

“Il paese è entrato in un’altra ondata della pandemia di COVID-19, e la FDA è consapevole che le persone immunocompromesse sono particolarmente a rischio di malattie gravi. Dopo una revisione approfondita dei dati disponibili, la FDA ha determinato che questo piccolo gruppo vulnerabile può beneficiare di una terza dose dei vaccini Pfizer-BioNTech o Moderna” Lo ha recentemente affermato il commissario ad interim del ente regolatorio statunitense. Negli Stati Uniti è stato dunque autorizzato l’uso di una terza dose vaccinale negli individui immunocompromessi, come i trapiantati o coloro che seguono terapie immunosoppressive che determinano una compromissione del sistema immunitario simile a quella dei trapiantati.

Gli immunocompromessi sono più a rischio

Chi ha una grave compromissione del sistema immunitario risulta avere una ridotta capacità di combattere le infezioni e altre malattie, ed è particolarmente vulnerabile alle infezioni, compresa la COVID-19. La notizia riguarda le persone che sono immunocompromesse in modo simile a quelle che hanno subito un trapianto di organi solidi. Difatti non tutti gli individui che assumono farmaci immunosoppressori risultano  immunocompromessi. La compromissione del sistema immunitario varia in base a numerosi fattori come la tipologia, il dosaggio e la durata della terapia immunosoppressiva.

La FDA ha valutato le informazioni sull’uso di una terza dose dei vaccini Pfizer-BioNTech o Moderna, negli individui con una marcata compromissione del sistema immunitario, e ha determinato che la somministrazione di terze dosi di vaccino può aumentare la protezione in questa popolazione.

A questi pazienti occorre inoltre consigliare di mantenere le precauzioni fisiche per aiutare a prevenire la COVID-19. Inoltre, i contatti stretti di persone immunocompromesse dovrebbero essere vaccinati, se non vi sono controindicazioni specifiche, per fornire una maggiore protezione ai loro cari.

Consigliati anche gli anticorpi monoclonali

Quando una persona immunocompromessa contrae la Covid-19, l’indicazione della FDA è quella di valutare la possibilità di trattamento con anticorpi monoclonali. La FDA ha autorizzato trattamenti con anticorpi monoclonali per l’uso di emergenza per adulti e pazienti pediatrici positivi al Sars-Cov-2 e che sono ad alto rischio di progredire verso la malattia grave grave e/o l’ospedalizzazione. Gli anticorpi monoclonali sono molecole prodotte in laboratorio che agiscono come anticorpi sostitutivi. Possono aiutare il nostro sistema immunitario a riconoscere e rispondere più efficacemente al virus, rendendo più difficile per il virus riprodursi e causare danni.

Terza dose per immunocompromessi dai 12 anni in su

Il vaccino Pfizer-BioNTech è attualmente autorizzato per l’uso di emergenza in individui di età pari o superiore ai 12 anni, e il vaccino Moderna è autorizzato per l’uso di emergenza in individui di età pari o superiore ai 18 anni. Le autorizzazioni per questi vaccini sono state modificate per consentire la somministrazione di una terza dose a soggetti di età pari o superiore a 18 anni per Moderna e 12 anni per Pfizer che hanno subito un trapianto di organi solidi, o a cui sono state diagnosticate condizioni che sono considerate avere un livello equivalente di immunocompromissione. La somministrazione deve avvenire almeno 28 giorni dopo il regime a due dosi dello stesso vaccino.

Il Comitato consultivo sulle pratiche d’immunizzazione dell’organismo americano di sanità pubblica (CDC) si riunirà questo venerdì per discutere ulteriori raccomandazioni cliniche riguardanti gli individui immunocompromessi. Attendiamo nota ufficiale del ente regolatorio italiano (AIFA) che ha anticipato la notizia alcune settimane fa.

Carola Pulvirenti