La gestione della cronicità nella regione Molise

Due esperti di Cittadinanzattiva Molise sono stati i protagonisti del secondo appuntamento talk di Salute_Molise, il progetto promosso da Carola Pulvirenti per la testata CBlive.it. Carola ha intervistato il Dottor Carmine Tolve, medico di sanità pubblica, con anni di esperienza nell’assistenza domiciliare, Responsabile Regionale di Rete del Tribunale per i diritti del Malato e la Dott.ssa Anna Picciano, Coordinatrice Ostetrica con anni di esperienza nell’assistenza sanitaria, volontaria presso il Tribunale per i diritti del Malato.

Approvato nel 2016 il piano nazionale della cronicità

Le malattie croniche sono fra le priorità previste dallagenda 2030 dell’assemblea generale delle Nazioni Unite. Nel 2016 il governo italiano ha approvato il piano nazionale della cronicità, un atto di programmazione sanitaria fondamentale, messo a punto con il coinvolgimento di tutti: Associazioni di cittadini e pazienti, amministratori regionali e società scientifiche. Veniamo ora al Molise: il 31 di gennaio 2019 il commissario Giustini, incaricato dal Governo per garantire l’erogazione dei LEA nella Regione Molise, ha emanato l’atto di recepimento del Piano Nazionale della cronicità e ha dato mandato alla Direzione Generale ASREM di istituire il gruppo di lavoro regionale per l’attuazione del piano e la redazione del  piano regionale della cronicità.

Il Molise attende l’approvazione del piano regionale

Gennaio 2021: i cittadini del Molise attendono il Piano Regionale per la cronicità e questo ritardo, nell’attuazione delle disposizioni del governo, contribuisce a minare la loro fiducia nelle Istituzioni. Per questo abbiamo intervistato due egregi rappresentati dei cittadini molisani: il Dottor Tolve e la Dottoressa Picciano, che ogni giorno si confrontano con i cittadini.

Dottori, qual’è l’atteggiamento dei molisani nei confronti delle istituzioni?

Risponde la Dott.ssa Picciano: “ La pandemia ci ha portato a vivere isolati, anche per questo c’è malcontento, ma occorre pensare positivo, mantenere la fiducia nelle istituzioni perchè anch’esse stanno pagando lo scotto della pandemia e tutti insieme dobbiamo avere il coraggio di costruire insieme, piuttosto che criticare, perchè c’è la possibilità di avere una sanità equa e fruibile per tutti”.

Le Regioni che non hanno un piano per la cronicità hanno maggiori criticità nel garantire i LEA, peraltro è fra fra le Regioni italiane con maggiori malati di cuore, un problema cronico che  è anche tempodipendente.

Quali sono le istanze e proposte di Cittadinanzattiva Molise per migliorare l’assistenza alle persone con malattie croniche?

Risponde il Dottor Tolve: “Negli ultimi anni della mia carriera mi sono occupato di assistenza domiciliare e in Regione Molise si sono sperimentate delle innovazioni in questo settore, proprio perchè abbiamo un territorio di 300mila abitanti dove ci si conosce tutti. Tuttavia alcune innovazioni non sono arrivate, come la banda larga, la telemedicina. Noi chiediamo che vengano recuperate le cose buone dell’assistenza domiciliare del Molise, implementando le risorse umane e quelle tecnologiche. ”

Approfondiamo dunque il tema dell’assistenza domiciliare, tema fondamentale in una regione come il Molise dove la popolazione è distribuita su un vasto raggio di chilolmetri, con numerosi piccoli comuni non facilmente raggiungibili, pertanto la solitudine in cui si trovano alcune persone anziane malate, può diventare isolamento con gravi difficoltà di accesso alle cure. Un servizio da sempre supportato da Cittadinanzattiva Molise. 

Oggi come è organizzata l’assistenza domiciliare in Molise?

Dottor Tolve: “In questo momento i distretti riescono ad assicurare la presa in carico attraverso un’equipe multidisciplinare però, come dicevamo, i professionisti operanti in questo settore sono pochi ed il servizio andrebbe ulteriormente implementato, raccogliendo nuovi pazienti che devono evitare l’istituzionalizzazione. Perchè il Molise ha una rete sociale molto ben organizzata ed è su questa che dovrebbe porre le basi l’assistenza domiciliare, attraverso il supporto ai caregivers.”

Il talk di Salute_Molise prosegue con una dettagliata analisi della realtà sanitaria territoriale, portata avanti dalla Dott.ssa Picciano. Il contributo è stato così prezioso che vi dedicheremo un altro articolo. Ma è già possibile visionare l’intervista sul Canale You Tube di CBlive.

Carola Pulvirenti

Carola Pulvirenti è infermiera professionale dal 2003 e fino a qualche anno fa non conosceva le malattie rare e non aveva mai sentito parlare di malattie bollose autoimmuni. Nel 2016, tuttavia, qualcosa è cambiato.

Un giorno, mentre è al supermercato, Carola riceve un messaggio da sua zia Betty, una donna di quarantacinque anni, che le chiede di mandarle con urgenza qualcuno a casa a medicare le sue ferite. “Certo!” risponde subito Carola, “Ma di che tipo di ferite si tratta?”. Betty replica che si tratta di pemfigo, ma sua nipote non ne ha mai sentito parlare. Quando Betty invia una fotografia delle sue lesioni, Carola si accorge che la situazione è grave, così decide di valutarla personalmente.

Il giorno dopo è a casa di Betty, invasa da un odore fortissimo, e scopre che sua zia è quasi irriconoscibile: il 90% del suo corpo è coperto di ferite e la sua pelle è attaccata a vestiti e lenzuola. Non potendo ingerire nulla a causa delle ferite in bocca, Betty è magra, disidratata, e a letto da quindici giorni, impossibilitata a svolgere le proprie attività  quotidiane. Carola non ha mai visto niente del genere prima.

I primi sintomi, nella forma di macchie sul petto, si sono manifestati – spiegano Betty e le sue tre sorelle – nel 2006; poi la pelle ha iniziato a staccarsi, lasciando sul corpo ferite lancinanti. Trascorre un anno prima che arrivi una diagnosi: si tratta di Pemphigus Vulgaris. Il racconto prosegue: dopo sette anni di cortisonici, esperiti devastanti effetti collaterali, Betty ha deciso di sperimentare terapie alternative naturali associate a una dieta sana, pur ricorrendo, di tanto in tanto, ad antidolorifici.

Carola è incredula. Tornata a casa, svolgendo alcune ricerche, scopre che l’attenzione da parte della comunità  scientifica per la cura delle lesioni da pemfigo è drammaticamente bassa, probabilmente perché si tratta di malattie rare. Quella notte non chiude occhio. Non le dà  pace l’idea che sua zia Betty sia rimasta per lungo tempo in quella situazione, esposta a infezioni e dolori strazianti. Comincia, allora, a cercare testimonianze di altri pazienti affetti da questa patologia ed è così che si imbatte nel sito dell’Associazione Nazionale Pemfigo/Pemfigoide Italy.

Il giorno dopo, i pensieri di Carola sono ancora fissi sulla storia della zia. Aveva scoperto un mondo che non conosceva: quello delle malattie rare. Decisa ad aiutarla, contatta il presidente di ANPPI, che si mostra subito disponibile ad aiutarla. Raccolti questi consigli e recuperati degli abiti comodi per la zia, Carola si reca a casa sua e prova a convincerla della necessità  di un ricovero in ospedale. Al secco rifiuto di Betty, sua nipote decide allora di contattare un dermatologo omeopata, il solo dal quale la zia avrebbe accettato di farsi curare.

Due giorni dopo il medico è lì, scioccato dalle condizioni in cui si trova la donna, a cui spiega che la medicina alternativa può, sì, offrirle supporto per la patologia di cui soffre, ma non salvarle la vita. Solo dopo una lunga consulenza Betty si convince ad accettare il ricovero: viene bendata e condotta, a bordo di un’ambulanza, in un istituto dermatologico specializzato. Betty trarrà giovamento immediato in ospedale, non appena le saranno somministrate le cure appropriate: l’immunoterapia biologica le regalerà  la subitanea remissione dei sintomi. Ancora oggi la donna sta bene e non assume alcun medicinale.

L’esperienza con Betty è sconvolgente per Carola, che non capisce ancora come sia possible che una donna informata non riceva la giusta terapia per la propria patologia, pur vivendo in una grande città. Pochissimo si sa – scopre Carola – di queste patologie bollose autoimmuni. I bisogni di chi soffre, per esempio, di pemfigo/pemfigoide rimangono spesso insoddisfatti. È proprio per questi motivi, per tutta questa storia che Carola decide di dedicarsi a loro. Dopo qualche tempo si iscrive all’ANPPI e comincia a lavorare duro: contatta pazienti, medici, ricercatori con l’obiettivo di promuovere la conoscenza delle malattie rare come il pemfigo, di migliorare le risorse dei pazienti, di interagire con loro in progetti di ricerca e così via. Tutto questo, ai fini di provare a rendere più tollerabile la patologia nella vita di ogni giorno. 

Alla fine di questa storia di coraggio e passione, nel dicembre 2018, Carola viene nominata vice-presidente dell’ANPPI e ancora oggi è a stretto contatto con pazienti e professionisti con cui condivide l’entusiasmo per una battaglia difficile, ma necessaria. 

Quando siamo malati, siamo senza difese e abbiamo bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi, di creare rete, di avere un nucleo caldo a cui fare riferimento per non sentirci soli. È questo l’obiettivo di un’associazione per pazienti. Non farci sentire soli, né incompresi, ma parte di una comunità che ci accoglie con il limite cui la nostra malattia ci espone.

Grazie, Carola!
BB

Discutere il ruolo decisivo che i social network vanno guadagnandosi nel mondo che abitiamo rischierebbe di aprire un discorso trito. Piuttosto, sarebbe il caso di illuminare il dato che questi strumenti non toccano – per ragioni che non potremo indagare in questa sede –  tutti i settori con la stessa capillarità. 

Si pensi al grande universo della salute. I social network potrebbero aprire prospettive di grande interesse per la comunità dei pazienti, potrebbero rappresentare una possibilità notevolissima non solo per l’informazione e la sensibilizzazione, ma per la gestione delle implicazioni emotive della malattia (troppo spesso lasciate da parte), eppure – dati alla mano – ancora non vengono sfruttati al pieno delle loro potenzialità. 

Il 18 dicembre scorso, Carola Pulvirenti ha raggiunto un nuovo traguardo proprio in questo campo poco esplorato, portando a termine il programma HealthCom, il primo corso pratico in e-learning incentrato proprio sul tema della comunicazione sanitaria sui social, un percorso di formazione altamente specializzato rivolto non solo a medici, ma anche ad aziende sanitarie e associazioni di settore. Intravedendo nel programma stimolanti potenzialità, Carola ha deciso di prendervi parte e ha lavorato per acquisire solide competenze.

Sin da subito, il corso prepara a costruire in modo efficace la propria presenza online attraverso incisive strategie di comunicazione. In sei mesi, Carola ha imparato a  strutturare le valutazioni sui social più adatti all’obiettivo, a gestire con efficacia campagne di prevenzione, persino a raccontare eventi pubblici in modo persuasivo, avendo cura di costruire prima e preservare poi un rapporto di fiducia con i cittadini-pazienti della comunità in rete. Non solo: il corso l’ha preparata a costruire collaborazioni e a quantificare il proprio impegno e quello dei collaboratori, avvicinandola alla consapevolezza che quello del social media manager, essendo un lavoro a tutti gli effetti, va studiato anche nei suoi potenziali risultati economici. 

Coordinatrice del corso è Cristina Da Rold, giornalista scientifica e consulente nell’ambito della comunicazione digitale che si occupa di giornalismo sanitario data-driven principalmente su Il Sole 24 Ore, L’Espresso e Oggiscienza e dal 2015 è consulente per la comunicazione/social media presso l’Ufficio italiano dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Cristina lavora anche su temi legati all’epidemiologia, con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e ai problemi legati al mancato accesso alle cure.

Il contributo che questi strumenti promettono di offrire in questo ambito è considerevole. L’auspicio è, però, che questa esplorazione venga condotta con etica e professionalità, pena l’invalidità della sua efficacia.

BB

 

 

 

Cominciato da poco, il nuovo anno porta già le prime buone notizie. Si tratta dello studio di Alessandra Scarabello, Mauro Berta e Carola Pulvirenti, che indaga con grande perizia le interessanti potenzialità della terapia fotodinamica (PDT), un trattamento che, sfruttando la reazione ossidativa scatenata dalla luce, elimina le cellule patologiche dell’epidermide e le sostituisce con cellule nuove. Si tratterebbe, come annuncia il titolo, non soltanto di una grande opportunità per chi è affetto da patologie dermatologiche rare, ma anche di una nuova avvincente sfida per chi è impiegato nel settore del wound care.  

Quando si fa un passo nel grande universo delle malattie dermatologiche, è bene usare delicate cautele. Sono numerose le difficoltà che il paziente può trovarsi ad incontrare prima di imbattersi finalmente in un trattamento che dia esito positivo e, anche allora, non è detto che quello sia definitamente risolutivo. Non accade di rado, infatti, che i bisogni di salute che emergono in concomitanza con queste patologie restino insoddisfatti. Addirittura, in qualche caso, essi rimangono sconosciuti persino allo specialista. E, invece, contrariamente a quanto si tende a credere, certe implicazioni sulla vita di questi pazienti possono diventare fortemente invalidanti: la malattia dermatologica non è causa solo di problemi puramente estetici – ammesso che, per qualche motivo, essi debbano considerarsi di importanza secondaria -, ma anche di problemi funzionali, in qualche caso all’origine anche di gravissime limitazioni fisiche. Tutto questo dicasi per non entrare nel merito dei modi in cui queste patologie possono finire per compromettere la vita di relazione del paziente, quella sessuale, del proprio rapporto con se stesso/a e via dicendo. 

Insieme a tutto questo va poi rilevato che se, come capita, i presidi sanitari necessari alla cura delle lesioni non rientrano nel piani terapeutici regionali, le visite mediche e gli esami clinici dermatologici richiedono al paziente un impegno economico non indifferente. Nel 2011, si esprimeva a tale proposito proprio il Comitato Nazionale di Bioetica, che  constatava non soltanto la scarsa disponibilità di farmaci innovativi specifici per il trattamento delle patologie dermatologiche, ma anche le drammatiche differenze in termini di disponibilità economiche delle varie regioni italiane. 

In questo quadro così complesso, inutile dirlo, restano cruciali il ruolo del medico e, non ultimo, quello del caregiver familiare, che purtroppo si trova troppo spesso ad assistere il paziente senza avere un’adeguata formazione nel settore.

Come provare a sciogliere la questione? “La terapia fotodinamica nelle malattie dermatologiche rare. Opportunità e sfida” è un giusto passo, un libro che illumina (è proprio il caso di dirlo) le zone d’ombra di questo universo, per il paziente e, insieme, per lo scienziato. Entrambi hanno oggi ha a disposizione un trattamento di grande efficacia e senza effetti collaterali, di cui era necessario che si parlasse.

Finalmente.

Buon anno di luce.

BB