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Il consumo di una dieta ricca di grassi è in grado di innescare l’obesità, con una serie di disordini metabolici che possono peggiorare il decorso di numerose malattie, compresa la Covid.

Dimagrire mangiando

I ricercatori dell’Università della California hanno identificato una molecola che sarebbe in grado di contrastare l’obesità, permettendo di dimagrire mangiando. L’esperimento è stato condotto su alcuni esemplari di topo obeso. La molecola, uno sfingolipide sintetico chiamato Sh-bc-893, è stata somministrata ai topi continuando ad alimentarli con cibi grassi. Il risultato è stato non solo che il loro peso è sceso incredibilmente, ma addirittura è aumentata la loro tolleranza al glucosio. E, fatto ancora più interessante, si è ridotto l’accumulo di grasso nel loro fegato nonostante si continuasse ad alimentarli con cibi ricchi di grassi.

Perché ingrassiamo

Com’è ben noto, nella maggior parte dei casi, si diviene obesi mangiando quantità di cibo superiori all’energia che che si consuma con il movimento. Oltre alle quantità del cibo, incide anche la  composizione: gli alimenti ricchi di grasso possono danneggiare l’organismo su vari fronti. Seppure alcuni grassi, nelle giuste quantità, sono necessari per la sopravvivenza, quando ne consumiamo quantità eccessive, nel nostro organismo si innescano processi patologici fra i quali l’aumento di peso è solo la punta di un iceberg. I meccanismi biologici che ci portano ad ingrassare sono molteplici, fra questi vi è un’eccessiva fissione dei mitocondri all’interno delle cellule. Si tratta di un processo, causato dai grassi in eccesso, che innesca una  disfunzione metabolica.

In che modo la molecola contrasta l’obesità

La scoperta, pubblicata in questi giorni su una rivista di medicina molecolare, è che lo sfingolipide sintetico è in grado di contrastare una delle disfunzioni metaboliche che causano l’obesità: l’ eccessiva fissione dei mitocondri. Difatti i ricercatori hanno osservato che i topi, ai quali veniva somministrato lo sfingolipide Sh-bc-893, iniziavano a perdere peso pur continuando a mangiare cibi grassi. Ancora non è chiaro il meccanismo completo che porta a questo incredibile risultato. L’ipotesi più ovvia è che il trattamento operi sui neuroni dell’ipotalamo che controllano il metabolismo. Per ora sappiamo che i ricercatori sono riusciti a rimodellare i mitocondri compromessi nel fegato, nel cervello e nel tessuto adiposo bianco, e a normalizzare quindi i livelli circolanti di alcuni ormoni metabolici come la leptina e l’adiponectina. Questa scoperta sensazionale merita di essere diffusa. La ricerca non si ferma, per fortuna, nonostante i tempi difficili.

Carola Pulvirenti

L’obesità: fattore di rischio per forme gravi di Covid-19

Studi recenti hanno dimostrato che l’obesità rappresenta un fattore di rischio di significativa importanza per le forme gravi di Covid-19. A tal proposito, la World Obesity Federation ha evidenziato un dato di grande rilievo. Dei 2.5 milioni di decessi per Covid-19 registrati entro la fine di febbraio 2021, 2.2 milioni si sono verificati in paesi in cui più della metà della popolazione è sovrappeso. Le persone obese avrebbero un rischio di contrarre il coronavirus 1.5 volte maggiore rispetto alle persone non obese. 2.1 volte maggiore sarebbe il rischio, per loro, di essere ricoverate in ospedale e 1.7 volte maggiore di finire in terapia intensiva. Anche il rischio di morte sarebbe più alto: circa 1.5 superiore rispetto ai normopeso.

Uno studio condotto in Messico

Vale la pena considerare gli esiti di uno studio recentemente condotto in Messico che ha passato in rassegna i decorsi clinici di oltre 15.000 pazienti Covid-19 ospedalizzati e non. Il risultato è stato un tasso di mortalità quasi triplo per i pazienti obesi. Non solo, se all’obesità si accompagnavano ipertensione, diabete o immunodeficienza questo fattore di rischio si faceva ancora più significativo. Il tasso di mortalità per Covid-19 in Messico sarebbe altissimo proprio perché lì tre quarti della popolazione al di sopra dei 20 anni è sovrappeso o obesa. 

Relazione tra IMC e severità della malattia

Dall’analisi condotta è, dunque, emersa una relazione tra Indice di Massa Corporea (IMC) e severità della malattia. Rischi più bassi si sono osservati nei pazienti normopeso e sovrappeso, mentre più complessa sarebbe la situazione per gli individui con IMC superiori a 30. Stando a questi dati, la necessità di ricovero aumenterebbe del 33% per IMC superiori a 45, mentre il rischio di morte del 60% per i pazienti con IMC più alto di 35.

Uno studio condotto in Gran Bretagna

Risultati simili sono stati riscontrati anche in uno studio effettuato in Gran Bretagna su circa 7 milioni di pazienti. Da questa analisi è emerso che vi è un aumento lineare del rischio di Covid-19 grave sia per chi è sottopeso che per chi è sovrappeso o obeso. Allo stesso modo, il rischio di ammissione in terapia intensiva è superiore per gli IMC maggiori di 23, ma inferiore per quelli al di sotto di questo valore.

ll ruolo dell’attività fisica

Inutile aggiungere che una regolare attività fisica riduce i fattori di rischio di contrarre forme severe di Covid-19. Un’analisi condotta in California, su poco meno di 50.000 casi positivi di Covid-19, ha evidenziato tra gli inattivi rischi di ospedalizzazione, ammissione in terapia intensiva e decesso significativamente più elevati rispetto a coloro che svolgevano almeno 150 minuti di attività fisica alla settimana. Questa ricerca apre il campo a nuove possibilità di studio, allo scopo di individuare dati predittivi di un maggior rischio di contrarre forme severe della malattia. La strada è ancora in salita, ma la scienza non si ferma.

BB