I virus vengono utilizzati per trasportare i geni a destinazione

Con l’avvento della pandemia, abbiamo conosciuto le terribili conseguenze sull’uomo di molecole microscopiche e invisibili, come i virus. Tuttavia gli scienziati studiano da decenni queste molecole e sono riusciti ad utilizzarne alcune a scopo terapeutico. Nel caso della terapia genica, i virus vengono sfruttati per trasportare i geni a destinazione. La terapia genica è una terapia innovativa che offre buone prospettive di cura per le malattie genetiche e rare. Tuttavia, essendo una terapia altamente specifica, non è sempre facile farla arrivare all’organo per cui è stata creata, gli ostacoli sono le barriere che l’organismo usa per proteggersi. I ricercatori hanno quindi imparato a sfruttare la capacità di alcuni virus nel superare queste barriere. Si tratta naturalmente di virus non patogeni, che non interferiscono con il genoma dell’ospite umano.

Il ruolo dei virus nella terapia genica

Qual è dunque il ruolo dei virus, e delle proteine da essi derivate, nell’ambito della terapia genica? La terapia genica prevede la creazione in laboratorio di materiale genetico, questo materiale contiene le “istruzioni” per la riparazione dei difetti genetici. Il materiale genetico, creato in laboratorio, deve essere immesso nell’organismo ed arrivare esattamente nel punto migliore in cui può agire. Tuttavia, nel suo percorso all’interno dell’uomo, incontra numerosi ostacoli, pertanto lo scienziato deve predisporre le condizioni migliori per superare tali ostacoli. Attualmente, per le malattie che coinvolgono il sistema nervoso centrale, gli adeno-virus sono i veicoli più efficienti e sicuri per la consegna della terapia direttamente a destinazione, ovvero ai neuroni.

Una speranza per alcune malattie rare

La terapia genica rappresenta un’opportunità di cura anche per alcune malattie rare, che oggi non hanno ancora una risposta terapeutica adeguata. E’ il caso della Sindrome di Lafora, una rara malattia neurodegenerativa dovuta a un difetto nel metabolismo del glicogeno. Questa sostanza si deposita sui neuroni provocando infiammazione e degenerazione, con attacchi epilettici. La Sindrome di Lafora è causata dalla mutazione di due geni che quindi non svolgono il loro ruolo e possono essere sostituiti da geni creati in laboratorio. Proprio su questo tema, ci sono entusiasmanti novità pubblicate su prestigiose riviste scientifiche: si parla di terapie innovative basate sulla sostituzione dei geni mancanti, e l’introduzione di enzimi che possono digerire i cosiddetti ‘corpi di Lafora’.

Terapia genica nella malattia di Lafora

Uno studio pubblicato a maggio 2021 spiega che, nella Sindrome di Lafora, il DNA complementare può essere inserito nelle cellule nervose per sostituire le proteine dei geni difettosi. Il DNA complementare contiene le istruzioni per la costruzione dei nuovi geni, che sostituiranno quelli difettosi. In queste terapie, la ‘consegna’ del DNA può avvenire con diversi metodi, tra cui virus, parti di esso o nanoparticelle e, per la Malattia di Lafora, viene utilizzato un adenovirus. Nonostante i molti vantaggi, ci sono però due ostacoli principali nel trattamento dei disturbi del sistema nervoso centrale, con terapia genica, attraverso l’uso degli adenovirus. Il primo è la barriera emato-encefalica, che limita il numero di particelle virali che arrivano alle cellule nervose, il secondo è il trasferimento del DNA a queste cellule.

Come arrivare al risultato

In che modo  sarà quindi possibile ottenere una cura? Gli scienziati hanno già individuato alcuni modi per aggirare la barriera emato-encefalica, uno di essi è quello di iniettare il virus direttamente nel liquido cerebrospinale e questa opzione è in fase di studio. Il secondo grande ostacolo è il trasferimento del DNA alle cellule nervose (trasduzione). Nella Malattia di Lafora praticamente ogni cellula del cervello è malata, quindi è necessario trasferire il DNA a tutte le cellule del sistema nervoso. Si stanno quindi progettando nuovi involucri per gli adenovirus, si chiamano capsidi e gli permettano di attraversare la barriera emato-encefalica. Oltre all’ingegneria del capside, sono in fase di studio nuove tecnologie per manipolare la barriera emato-encefalica, come gli ultrasuoni focalizzati, e i risultati preclinici sono promettenti. Una volta identificata una strategia adatta, l’intervento precoce sarà sempre cruciale per arrestare la neurodegenerazione e prevenire il danno esteso e irreversibile. E’ questo oggi l’obiettivo delle terapie per la Sindrome di Lafora: contenere i danni con farmaci e terapia nutrizionale chetogenica, in attesa della terapia genica.

Carola Pulvirenti

Bibliografia:

Cliccando qui trovi l’articolo scientifico Lafora disease: Current biology and therapeutic approaches  pubblicato il 16 giugno 2021 sulla rivista Elsevier.

La Malattia di Lafora si manifesta durante l’adolescenza

Negli scorsi giorni la prestigiosa rivista dell’Accademia Americana di Dermatologia JAAD ha pubblicato una curiosa analisi riguardo i post di Twitter relativi alla psoriasi. Stando ai dati raccolti, i pazienti si rivolgerebbero spesso ai social media per condividere le proprie esperienze e reperire informazioni sulla malattia. Tutto ciò considerato, viene da chiedersi: quanto sono affidabili le informazioni relative alla malattia che circolano sui social? Esplorare le intuizioni pubblicate dai pazienti può offrire punti di vista unici e permettere di studiare le loro preoccupazioni. Sarebbe utile quindi che i medici fossero maggiormente presenti sui social? Twitter è già stato utilizzato con successo per indagare una vasta gamma di condizioni dermatologiche, ma è la prima volta che viene utilizzato per la psoriasi.

I dermatologi e Twitter

I ricercatori della scuola di medicina dell’università del Colorado, in America, hanno identificato 574 account Twitter: 116 appartenenti a pazienti e 458 a non pazienti. I professionisti dell’assistenza sanitaria, stando a questa indagine, sarebbero relativamente poco presenti sul social e del tutto assenti in 25 stati americani. In particolare, meno di un terzo di questi operatori sanitari sarebbero dermatologi. Maggiormente presenti sono risultate, invece, le aziende commerciali della salute che si occupano di cure alternative non supportate da studi clinici validati. Su Twitter, addirittura il 68,1% delle discussioni inerenti alla cura della psoriasi sarebbero avviate proprio da queste aziende. Un dato, questo, che potrebbe diventare indicativo per quelle aziende farmaceutiche e sanitarie che ancora non investono su questo tipo di comunicazione.

Quali informazioni cercano i pazienti?

Fra i tweet pubblicati dai pazienti, è risultato prevalente l’interesse per l’advocacy, per le tematiche inerenti il supporto reciproco e le campagne di comunicazione. I tweet delle associazioni pazienti affetti da psoriasi, invece, sono più spesso orientati a sensibilizzare rispetto alla consapevolezza della malattia, contro lo stigma e l’isolamento sociale.

Ma l’attività non si è limitata a questo. Molti pazienti hanno messo in moto campagne rivolte ai rappresentanti politici ai fini di migliorare l’accesso alle cure. Alcuni hanno usato la piattaforma per fare domande e condividere opinioni sulle diverse opzioni terapeutiche disponibili. Tanti si sono rivolti domande l’un l’altro, sebbene molte di esse siano rimaste senza risposta.

Tutti questi dati, insomma, stanno ad indicare un bisogno insoddisfatto: quello di informazioni attendibili. I dermatologi potrebbero cogliere questo bisogno e costruire o migliorare la loro presenza online per offrire ai pazienti supporto e formazione.

Qui trovi il sito dell’Associazione italiana Pazienti Psoriasici, Amici della Fondazione Corazza