Carola Pulvirenti è infermiera professionale dal 2003 e fino a qualche anno fa non conosceva le malattie rare e non aveva mai sentito parlare di malattie bollose autoimmuni. Nel 2016, tuttavia, qualcosa è cambiato.

Un giorno, mentre è al supermercato, Carola riceve un messaggio da sua zia Betty, una donna di quarantacinque anni, che le chiede di mandarle con urgenza qualcuno a casa a medicare le sue ferite. “Certo!” risponde subito Carola, “Ma di che tipo di ferite si tratta?”. Betty replica che si tratta di pemfigo, ma sua nipote non ne ha mai sentito parlare. Quando Betty invia una fotografia delle sue lesioni, Carola si accorge che la situazione è grave, così decide di valutarla personalmente.

Il giorno dopo è a casa di Betty, invasa da un odore fortissimo, e scopre che sua zia è quasi irriconoscibile: il 90% del suo corpo è coperto di ferite e la sua pelle è attaccata a vestiti e lenzuola. Non potendo ingerire nulla a causa delle ferite in bocca, Betty è magra, disidratata, e a letto da quindici giorni, impossibilitata a svolgere le proprie attività  quotidiane. Carola non ha mai visto niente del genere prima.

I primi sintomi, nella forma di macchie sul petto, si sono manifestati – spiegano Betty e le sue tre sorelle – nel 2006; poi la pelle ha iniziato a staccarsi, lasciando sul corpo ferite lancinanti. Trascorre un anno prima che arrivi una diagnosi: si tratta di Pemphigus Vulgaris. Il racconto prosegue: dopo sette anni di cortisonici, esperiti devastanti effetti collaterali, Betty ha deciso di sperimentare terapie alternative naturali associate a una dieta sana, pur ricorrendo, di tanto in tanto, ad antidolorifici.

Carola è incredula. Tornata a casa, svolgendo alcune ricerche, scopre che l’attenzione da parte della comunità  scientifica per la cura delle lesioni da pemfigo è drammaticamente bassa, probabilmente perché si tratta di malattie rare. Quella notte non chiude occhio. Non le dà  pace l’idea che sua zia Betty sia rimasta per lungo tempo in quella situazione, esposta a infezioni e dolori strazianti. Comincia, allora, a cercare testimonianze di altri pazienti affetti da questa patologia ed è così che si imbatte nel sito dell’Associazione Nazionale Pemfigo/Pemfigoide Italy.

Il giorno dopo, i pensieri di Carola sono ancora fissi sulla storia della zia. Aveva scoperto un mondo che non conosceva: quello delle malattie rare. Decisa ad aiutarla, contatta il presidente di ANPPI, che si mostra subito disponibile ad aiutarla. Raccolti questi consigli e recuperati degli abiti comodi per la zia, Carola si reca a casa sua e prova a convincerla della necessità  di un ricovero in ospedale. Al secco rifiuto di Betty, sua nipote decide allora di contattare un dermatologo omeopata, il solo dal quale la zia avrebbe accettato di farsi curare.

Due giorni dopo il medico è lì, scioccato dalle condizioni in cui si trova la donna, a cui spiega che la medicina alternativa può, sì, offrirle supporto per la patologia di cui soffre, ma non salvarle la vita. Solo dopo una lunga consulenza Betty si convince ad accettare il ricovero: viene bendata e condotta, a bordo di un’ambulanza, in un istituto dermatologico specializzato. Betty trarrà giovamento immediato in ospedale, non appena le saranno somministrate le cure appropriate: l’immunoterapia biologica le regalerà  la subitanea remissione dei sintomi. Ancora oggi la donna sta bene e non assume alcun medicinale.

L’esperienza con Betty è sconvolgente per Carola, che non capisce ancora come sia possible che una donna informata non riceva la giusta terapia per la propria patologia, pur vivendo in una grande città. Pochissimo si sa – scopre Carola – di queste patologie bollose autoimmuni. I bisogni di chi soffre, per esempio, di pemfigo/pemfigoide rimangono spesso insoddisfatti. È proprio per questi motivi, per tutta questa storia che Carola decide di dedicarsi a loro. Dopo qualche tempo si iscrive all’ANPPI e comincia a lavorare duro: contatta pazienti, medici, ricercatori con l’obiettivo di promuovere la conoscenza delle malattie rare come il pemfigo, di migliorare le risorse dei pazienti, di interagire con loro in progetti di ricerca e così via. Tutto questo, ai fini di provare a rendere più tollerabile la patologia nella vita di ogni giorno. 

Alla fine di questa storia di coraggio e passione, nel dicembre 2018, Carola viene nominata vice-presidente dell’ANPPI e ancora oggi è a stretto contatto con pazienti e professionisti con cui condivide l’entusiasmo per una battaglia difficile, ma necessaria. 

Quando siamo malati, siamo senza difese e abbiamo bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi, di creare rete, di avere un nucleo caldo a cui fare riferimento per non sentirci soli. È questo l’obiettivo di un’associazione per pazienti. Non farci sentire soli, né incompresi, ma parte di una comunità che ci accoglie con il limite cui la nostra malattia ci espone.

Grazie, Carola!
BB

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento